mercoledì 8 novembre 2017

Repubblica 8.11.17
La tela di Orlando e la delusione di Franceschini: “Mi aspettavo aiuto dai padri nobili”
La diga dei ministri dem “Il Pd non è sua proprietà” Il rischio di un’altra scissione
di Goffredo De Marchis

ROMA. L’ordine del giorno della direzione di lunedì è stata la goccia finale: 1) avvio della campagna elettorale 2) vitalizi. E la Sicilia? E il pericolo concreto di arrivare terzi alle elezioni? Semmai, il richiamo alle pensioni dei parlamentari assomiglia piuttosto a una sfida da consumare dentro il partito visto che buona parte dei senatori dem non è favorevole all’abolizione. Come dire: c’è un segretario contro il suo partito, che in nome della campagna elettorale è pronto a sacrificare la breve storia democratica. «Renzi vuole trasformare il Pd in una bad company o, se va bene, in un suo alter ego», si sente dire dai parlamentari vicini ad Andrea Orlando. Punta a fare il Macron italiano libero dai vincoli di una forza politica. E se va male nel 2018, pace. Lui porta in Parlamento una pattuglia di fedelissimi e ci riprova al prossimo giro, dicono in molti. La voce gira e si alimenta anche un po’ da sola. «Se è così allora non potremo stare a guardare. Non si potrà attendere oltre. Significherebbe non solo la nostra morte, ma la morte dell’intero progetto».
Si affaccia, in questo modo, il rischio di una nuova scissione a lento rilascio, tra dubbi, contatti e tempo che scorre inesorabile verso il voto di primavera. Gianni Cuperlo oggi incontra il presidente del Senato Piero Grasso, sempre più leader in pectore della sinistra. Alla sua porta si è creata una fila di persone che vuole parlare e capire. Cuperlo si interroga: «Posso rimanere nel Pd?». Andrea Orlando e Dario Franceschini attendono le prossime mosse di Renzi anche se il comunicato di ieri mattina ha chiarito che non ci margini di discussione, che le aperture a alleanze future sono limitate, contenute e che la campagna elettorale sarà condotta all’arrembaggio secondo le forme e i contenuti del segretario.
Il ministro della Cultura ha lanciato la ciambella di un’alleanza in cui ognuno ha il suo leader, modello centrodestra. Appello che ha trovato solo reazioni negative fuori dal Pd e dentro mugugni e perplessità. Franceschini ha confidato agli amici che si sarebbe aspettato il sostegno «dei padri nobili», ovvero Prodi, Veltroni, Parisi. Ma niente, silenzio. Certo, non è una formula che si può realizzare nell’immediato, Franceschini è convinto che «quando smetteranno di ragionare con la pancia» anche in Mdp faranno i conti sui collegi da vincere per non lasciare il successo alle destre e rendere il centrosinistra «residuale». Ma il silenzio di Prodi è tutt’altro che casuale o frutto di distrazione. La ex portavoce del Professore, Sandra Zampa, viene fermata a ogni passo in Transatlantico dai suoi colleghi. La supplica è: «Ti prego, chiedi a Romano di intervenire». Un’ultima spiaggia, la voce che nessuno può ignorare. Prodi però fa sapere: «Non parlo e non parlerò. Il tempo è passato, non c’è più niente da fare. Andiamo incontro a una sconfitta epocale e poi vedremo ». Non starà vicino al Pd, non si affiancherà alle liste intorno al Pd. Fuori da tutto, ma la sua distanza pesa soprattutto su Renzi.
Orlando pensa che ora che gli scissionisti hanno trovato una figura come Grasso la coalizione con il Pd di Renzi è l’ultimo dei loro desideri. Franceschini invece crede che il tema sia aperto, che la legge elettorale ha una sua forza nel cambiare le cose, anche con la presenza di Renzi in campo. Con Paolo Gentiloni al posto del segretario in vesione front man si potrebbe aprire un tavolo con Mdp: limare il Jobs act sui licenziamenti, correggere la Buona scuola, cancellare il superticket già in questa manovra di bilancio. Questo dicono gli orlandiani. Provarci almeno. E non parlare più di nomi, perché Grasso risolve il problema della leadership e perché solo i programmi possono convincere la sinistra a cedere, altrimenti non hanno senso, non hanno futuro.
Ma Renzi non cederà lo scettro, più chiaro di così. Sfumerà il tema della candidatura a premier, dirà come ha fatto Ettore Rosato che Gentiloni comunque c’è, ma non dirà mai “tocca a un altro”. Allora i ministri aspettano, anche perché sia il premier sia Sergio Mattarella si sono raccomandati: niente rese dei conti ora, mettiamo in sicurezza la legge di bilancio. Però in tanti vogliono capire: il progetto Macron, che mette in conto la sconfitta, è solo una voce? Se è di più, tutto può succedere. Anche una nuova e definitiva scissione.