Repubblica 8.11.17
La storia.
Nata nell’estate 1917 Rjabtseva è sopravvissuta alle guerre, a Stalin e alla fine dell’Urss
Maria, centenaria come l’“Ottobre” “Ma nell’era Putin si vive meglio”
di Rosalba Castelletti
MOSCA.
Maria Rjabtseva ha visto nascere e crollare l’Unione Sovietica. È
sopravvissuta al conflitto tra l’Armata Bianca fedele allo zar Nicola II
e i Rossi bolscevichi, al Grande Terrore, alla II guerra mondiale che
le ha strappato due figli e alla stagione “terribile” degli Anni
Novanta, l’era di Eltsin. Era un bebè di pochi mesi quando, la notte tra
il 6 e il 7 novembre di cent’anni fa, i bolscevichi rovesciarono
l’impero secolare degli zar e inaugurarono il primo governo comunista al
mondo cambiando irrevocabilmente il corso della storia della Russia e
dell’intero pianeta. Nata il 14 giugno di cent’anni fa in un sobborgo a
Nord di Mosca, Maria non ricorda ovviamente quei “giorni che sconvolsero
il mondo”, né ha intenzione di celebrare l’anniversario della
Rivoluzione russa. Come del resto le autorità e la maggioranza dei russi
tuttora incapaci di indagare a fondo sul momento fondatore dell’Urss e
troppo divisi sull’eredità di quel 1917 così tumultuoso.
Testimone
ordinaria di tutte le tappe salienti del “secolo breve” segnato dallo
scontro tra capitalismo e comunismo, Maria dice di non essere
interessata alla politica e in ogni caso di non aver nulla da
festeggiare questo 7 novembre. «Penso che avrei avuto la stessa vita con
o senza la Rivoluzione. In ogni caso, non si può cambiare nulla».
Guardando
indietro, quel che ricorda è di avere sempre «lavorato duro in tutta la
sua vita», prima come contadina, poi come infermiera e infine come
operaia. «Ho lavorato sin dalla più giovane età», ha detto alla France
Presse che l’ha incontrata. I primi ricordi della centenaria risalgono
agli anni Venti della collettivizzazione forzata delle terre in
kolkhoz
e sovkhoz per promuovere lo sviluppo industriale. «Eravamo cinque tra
sorelle e fratelli. Una famiglia normale di contadini. I bolscevichi
confiscarono il nostro bestiame. Ci tolsero due cavalli e le mucche.
Cosa avremmo dovuto fare? Ci unimmo a un kolkhoz ». Risparmiata dal
Grande Terrore, la repressione che colpì alti dirigenti e cittadini
ordinari negli anni Trenta, Maria pagò il suo prezzo di sangue durante
la seconda Guerra mondiale che la Russia ricorda come la Grande Guerra
patriottica. Tra oltre 20 milioni di cittadini sovietici, caddero anche
due dei suoi quattro figli. «Fu dura. Non c’era molto da mangiare ».
Rjabtseva lavorava come infermiera in un ospedale di Rostov Velikij, a
Nord di Mosca. «Bisognava lavorare duro, c’erano così tanti soldati
feriti, i letti erano pieni». Gli occhi le si illuminano quando ricorda
il Giorno della Vittoria, la capitolazione nazista nel 1945:
«Quant’eravamo felici, quanto ballammo e cantammo».
Della morte di
Stalin nel 1953 non ha un ricordo particolare. «Non fu una catastrofe».
Un evento invece impresso nella sua memoria è quando, dopo aver vissuto
per decenni in komunalke, gli appartamenti condivisi da più famiglie
con bagno e cucina in comune, nel 1961 si trasferì con il marito in un
vero appartamento a Ovest di San Pietroburgo. Acqua calda, riscaldamento
centrale, un «paradiso» e una «benedizione». «Cos’altro avrei potuto
chiedere? ». Vedova da quarant’anni, vive ancora tra quelle quattro mura
insieme alla famiglia di una delle sue nipoti. Gli anni della
perestrojka
e della stagnazione «non hanno cambiato davvero la mia vita – dice oggi
– con l’eccezione che era più dura di prima». È migliorata
considerevolmente, conclude, con l’arrivo di Vladimir Putin al potere
diciotto anni fa. «Sono stata felice? Non lo so. Ho vissuto. Se nasci,
devi vivere, no? Soprattutto perché la vita passa molto velocemente».