Repubblica 6.11.17
Nello Rossi.
L’avvocato generale in Cassazione conferma l’allarme: “Chi pubblica i nastri custoditi in archivio viola il segreto”
“Sì, con questo decreto i cronisti rischiano di più”
intervista di Liana Milella
ROMA.
«Con il nuovo decreto i giornalisti correranno più rischi ». Dice così
Nello Rossi, avvocato generale in Cassazione ed ex procuratore aggiunto a
Roma, confermando l’allarme di Repubblica sul rischio carcere per i
cronisti che pubblicano intercettazioni “irrilevanti” finite
nell’archivio riservato.
Leggendo il testo del decreto lei che ne pensa?
«Le
do una risposta strettamente tecnica che prescinde da giudizi sulla
complessiva validità della nuova normativa. È un fatto che l’area del
segreto sulle intercettazioni si amplia e soprattutto diventa
permanente».
Che significa?
«Le intercettazioni irrilevanti o
inutilizzabili saranno sempre ‘coperte dal segreto’. In una prima fase
varrà quello delle indagini preliminari. Poi scatterà il regime di
segreto disposto dalla nuova normativa per le intercettazioni inviate
nell’archivio riservato. Queste ultime non entreranno mai a far parte
del fascicolo del pm, a meno che non vengano recuperate per necessità
nel corso del dibattimento».
Dov’è la differenza rispetto ad oggi?
«Finora
le intercettazioni erano coperte dal segreto solo fino a quando
l’imputato non ne veniva a conoscenza e ‘comunque non oltre la chiusura
delle indagini preliminari. Con il decreto muta il significato e la
finalità del regime di segretezza. Sino ad ora posto a tutela delle
indagini e oggi prolungato oltre la loro chiusura ».
Lei dice che le intercettazioni finite nell’archivio saranno segrete per sempre. Che succede al cronista che le fa uscire?
«Con
l’ampliamento dell’area del segreto non rischierà più solo il cronista,
che pubblicava intercettazioni a indagini ancora in corso, ma anche chi
rivela e pubblica le conversazioni custodite in archivio. Il concorso
del giornalista nel reato di rivelazione del segreto d’ufficio con il
pubblico ufficiale diviene dunque un’ipotesi concreta, a patto
naturalmente di dimostrare che ci sia stata complicità nell’acquisire e
rivelare una intercettazione dell’archivio riservato».
Ma perché il giornalista rischia 3 anni di carcere e non solo 30 giorni per la pubblicazione arbitraria?
«È
il risultato della diversa latitudine acquisita dal segreto, che col
decreto si proietta oltre la chiusura delle indagini. Il giornalista
potrebbe commettere due reati, dapprima violando il segreto e poi
pubblicando l’atto destinato a rimanere nel chiuso dell’archivio ed
eventualmente a essere distrutto a richiesta dell’interessato».
Ma Gentiloni e Orlando dicono che il diritto di cronaca è salvo. Ma 3 anni di carcere non sono una minaccia?
«Non
si tratta di una censura alla cronaca giudiziaria, perché stiamo
parlando di informazioni ritenute estranee al processo. Certo il
faticoso equilibrio raggiunto nel decreto mette in conto la perdita di
dati politicamente significativi e la accetta. A loro volta anche i
cronisti saranno chiamati a fare delle scelte».