Repubblica 6.11.17
“Senza le Ong in mare, rischiamo altre tragedie”
Carlotta Sami, portavoce per il sud Europa dell’alto Commissariato Onu per i rifugiati
di Vladimiro Polchi
ROMA.
«Questa strage di donne rende evidente che la tragedia degli sbarchi
continua e i rischi in mare non si sono affatto ridotti». Carlotta Sami,
portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato dell’Onu per i
rifugiati, non nasconde la sua preoccupazione per «il fatto che di
fronte a una situazione ancora instabile in Libia, molte Ong abbiano
ritirato le loro navi dall’area interessata dai soccorsi ».
Le
vittime dell’ultima tragedia in mare sono tutte donne, cosa significa?
«Questo ci deve ricordare la particolare vulnerabilità delle migranti.
In questo caso hanno avuto la peggio rispetto agli uomini imbarcati con
loro. Ma spesso c’è di più. In base ai nostri dati, il 90% delle donne
che arriva sulle nostre coste è stato vittima di violenze e abusi lungo
il viaggio via terra e durante la permanenza in Libia».
A proposito di Libia, sono riprese in questi giorni le partenze dalle sue coste, perché?
«Siamo
cauti a parlare di riapertura di rotte, ma invitiamo anche alla
prudenza nel considerare come consolidata la situazione attuale di
riduzione dei flussi. Le circostanze infatti sono tali che nessuno può
parlare di netto cambiamento. È vero che si sono intensificati i
controlli in mare della Guardia costiera libica, ma la situazione sul
terreno è ancora drammatica. Dopo i recenti scontri di Sabratha,
sappiamo di oltre 17mila persone che sono riuscite a scappare dai
trafficanti di uomini, ma ancora 6mila sono tenute prigioniere. E le
condizioni di vita in Libia non stanno affatto migliorando».
E la riapertura della rotta tunisina?
«Finora non è conseguenza della chiusura di quella libica, infatti a partire sono quasi solo cittadini tunisini».
I mezzi di soccorso in mare sono sufficienti a fronteggiare l’emergenza?
«Di
fronte alla situazione che resta drammatica in Libia, noi stessi ci
chiediamo se esiste ancora un meccanismo di salvataggio in mare davvero
valido. Certo, ci preoccupa che molte Ong non siano più presenti con
propri mezzi».
Come potrebbero ridursi davvero i rischi delle traversate?
«Bisognerebbe
lavorare seriamente all’apertura di corridoi umanitari, di vie legali
d’accesso in Europa per chi ha diritto a una qualche forma di
protezione. Ma su questo punto non vediamo interventi concreti. Abbiamo
chiesto a livello europeo 40mila posti per rifugiati che provengano da
Paesi africani, compresa la Libia, così da evitare a queste persone di
finire nelle mani dei trafficanti».