sabato 4 novembre 2017

Repubblica 4.11.17
La posta in gioco
Centrosinistra
Renzi teme il colpo e cala il jolly “Coalizione e primarie se servono”
di Tommaso Ciriaco

ROMA. Come quando i nemici sono alle porte e le riserve scarseggiano, così Matteo Renzi prepara la resistenza in vista del probabile tonfo siciliano. «Convocherò per il 14 di novembre la direzione nazionale – è il progetto anti- sfondamento confidato ai suoi dal segretario - e rilancerò la coalizione. Dirò che il premier si deciderà dopo le elezioni e che noi presenteremo una squadra. Se mi chiedono le primarie, sono anche pronto a farle. Ma credo che nessuno me le chiederà». Almeno su questo il leader non ha torto, perché la soluzione preferita dai ministri antirenziani del Pd – da Andrea Orlando a Dario Franceschini - è una staffetta morbida alla guida del centrosinistra. Fuori Renzi, dentro un nome unitario. «Alla Gentiloni», è la sintesi ricorrente. Ecco il campo di battaglia su cui si giocherà il futuro del centrosinistra la prossima settimana.
Sedare, smorzare, resistere: lo schema del leader è chiaro. Alla vigilia delle regionali sull’isola, Renzi chiama uno ad uno i big del partito. Chiede una tregua, rassicura sulla pluralità delle liste in vista delle politiche: «Lunedì evitate di sollevare polveroni, insieme troveremo una soluzione». A tutti, il segretario promette a dicembre una direzione per dare il via libera alle attese deroghe per la ricandidatura dei parlamentari di lungo corso. E assicura un’equa rappresentanza sulla base delle quote congressuali. Non pago, incarica Lorenzo Guerini di incontrare a breve gli emissari di Giuliano Pisapia e delle altre liste per costruire un’alleanza.
Il problema è capire se questo schema studiato a tavolino reggerà l’urto della sconfitta, che al Nazareno considerano inevitabile. Per esorcizzare l’attesa, si fa di conto. Con 2 milioni di votanti, il 20% di coalizione è giudicato quasi in cassaforte. Se invece l’affluenza dovesse sfondare la soglia dei 2 milioni e mezzo, l’effetto potrebbe essere devastante.
La verità è che proprio quest’ultimo è lo scenario preferito da molti big dem, Renzi escluso. Ed è la precondizione per affermare quell’idea di “direttorio” che Dario Franceschini ripete un po’ a tutti. Andrea Orlando, ad esempio, insiste sempre sulla necessità di allargare la coalizione, con l‘obiettivo di costringere Renzi a un passo di lato. «Serve intelligenza - ricorda il suo braccio destro Andrea Martella – per costruire una coalizione, un programma e una leadership più unitaria e vincente possibile». Mezzo consiglio dei ministri, inoltre, spera davvero che anche i padri nobili si facciano sentire per una fase nuova. Romano Prodi, in primis. E Walter Veltroni, che per adesso si tiene lontano dall’arena e preferisce per una sera quella dei live di X Factor.
Anche alla sinistra del Pd si vive con trepidazione la tappa siciliana. L’operazione sorpasso di Claudio Fava difficilmente si concretizzerà, ma bersaniani e dalemiani sono pronti comunque a chiedere la decapitazione di Renzi per rimettere insieme i cocci del centrosinistra. «Se Grasso vuole sfidarmi alle primarie – dirà Renzi, come sostiene in privato in queste ore – io ci sto». Difficile però che Massimo D’Alema, teorico del duello finale contro il segretario, possa dare il via libera all’operazione: se poi vince Renzi, che si fa?
Di cedere il passo, comunque, per ora non se ne parla. «Renzi c’è e ci sarà - si arrabbia Orfini - e poi vi pare che il capo della coalizione lo decide chi ha il 2%?». Se però tutto dovesse precipitare, il segretario potrebbe sempre giocare la “carta Gentiloni”.
Lui, il premier, a dire il vero preferirebbe evitare di bruciarsi prima delle elezioni. Ma tutto è possibile, se è vero che il futuro del centrosinistra passa ormai dalla percentuale elettorale di un rettore siciliano.