Repubblica 4.11.17
Se le manette spingono la Catalogna nel baratro
Con l’ordine d’arresto per Puigdemont Madrid radicalizza la crisi
di Roberto Toscano
LE
ultime battute della crisi catalana sembrano quasi giustificare
l’impressione che il governo centrale intenda fare tutto il possibile
per spingere verso un’ulteriore pericolosa radicalizzazione. Madrid si
trincera dietro un legalismo di per sé ineccepibile, ma agisce come se
non si rendesse conto del fatto che il diritto non è un sostituto della
politica, ma soltanto un quadro che delimita il campo della politica,
che a sua volta ha il diritto, e spesso il dovere, di modificarlo.
L’articolo 155 della Costituzione, in concreto, autorizza un intervento
del governo centrale teso a obbligare gli organi delle regioni autonome
al compimento della legge. Si tratta di quello che in Italia chiameremmo
commissariamento, ma i cui contenuti non sono definiti dalla
Costituzione. Il governo di Madrid, tuttavia, ha applicato la norma
nella sua versione più estesa e radicale, tanto che sembra ormai
difficile distinguere il commissariamento da una abrogazione di fatto.
Carles Puigdemont
ANCORA
più grave è l’aspetto penale. Ieri sera è stato firmato il mandato
d’arresto europeo per l’ex presidente Puigdemont e i 4 ministri che lo
accompagnano a Bruxelles. Il giorno prima, il vicepresidente Junqueras e
sette componenti il governo della Generalitat erano stati incarcerati
sulla base di un provvedimento cautelare da parte di un giudice della
Audiencia Nacional (una giurisdizione speciale competente per reati
contro la Corona e i membri del governo, oltre che per terrorismo e
criminalità organizzata) con l’accusa di “sedizione” e “ribellione”.
Sono ipotesi di reato previste dal Codice penale, ma se la meno grave,
la sedizione, è descritta come opposizione all’attuazione della legge
non solo con la forza, ma anche “fuori dalle vie legali”, la ribellione
comporta sempre un elemento di violenza — un’insurrezione — che sarebbe
molto difficile attribuire agli arrestati e ai milioni di catalani che
si sono espressi pacificamente a favore dell’indipendenza. Persino chi
ha ritenuto inevitabile che l’avventurismo illegale del separatismo
dovesse essere fermato (fra l’altro anche per tutelare i diritti di
quella metà della popolazione catalana che non ne condivide i fini e
vorrebbe rimanere nello stato spagnolo) si rende conto del fatto che a
Madrid sta emergendo un inquietante spirito di vendetta. Lo fa temere il
tono revanscista e punitivo non solo dei politici, ma anche di alcuni
magistrati, soprattutto il Fiscal General (il nostro Procuratore della
Repubblica).
Siamo di fronte a un insieme di spropositi giuridici e
forzature politiche che, cosa di cui a Madrid sembra non esservi la
consapevolezza, rischiano di far passare in secondo piano gli spropositi
e le forzature di una dirigenza catalana responsabile di avere
innescato questa crisi per la disinvoltura con cui ha ignorato le norme
mettendo in moto un processo che era evidentemente destinato al
fallimento. Se si lascia il cammino delle norme si passa a quello della
forza, e non doveva essere una sorpresa che lo stato spagnolo ne
disponesse e fosse pronto a usarla. Insomma, non si può pensare di
istituire unilateralmente una repubblica col permesso del re. Ma adesso
gli indipendentisti catalani, che non avevano il diritto dalla loro
parte, possono sperare di giocare la carta delle vittime della
repressione: gli esuli di Bruxelles e i prigionieri politici di Madrid. E
anche di riscuotere in Europa simpatie che finora non sono riusciti ad
ottenere.
La strategia, se così si può chiamare, di Rajoy si
compone di due elementi: elezioni catalane il 21 dicembre e dura
repressione contro i dirigenti indipendentisti. Il fatto è che sembrano
entrambe destinate al fallimento. Sondaggi effettuati dopo
l’applicazione dell’articolo 155 fanno emergere una conferma, anzi un
aumento, dei consensi allo schieramento indipendentista, mentre si può
prevedere un ulteriore incremento dei consensi provocato dallo shock
dell’incarcerazione dei vertici del Govern. Ma se questi saranno i
risultati, come si può pensare che la repressione possa rappresentare
una soluzione? L’applicazione della legge, con la sospensione
dell’esercizio dell’autonomia, avrebbe avuto un senso solo se fosse
stata attuata in parallelo all’avvio di un processo di riforma
costituzionale finalizzata ad un riassetto del sistema delle autonomie e
tale da permettere un referendum legale e regolato — non quello
arbitrario, unilaterale e senza quorum del primo ottobre.
La
combinazione di durissime misure giudiziarie e chiusura politica rischia
invece di produrre come unico risultato quello di spostare la crisi
dalla politica alla piazza, dal dibattito allo scontro fisico. Come
scrive il quotidiano di Barcellona La Vanguardia, che pure anche in
questi tempi difficili si sforza di mantenere i linguaggi pacati della
moderazione, “siamo a un passo dall’abisso.”
Anche se finora, pur
nell’asprezza della polemica, le cose sono rimaste sorprendentemente
civili e pacifiche (altro che “insurrezione”!), si tratta di una
prospettiva che non è purtroppo da escludere. Vale la pena ascoltare le
parole del Presidente del governo autonomo basco, Urkullu, che —
attualmente in visita in quel Canada che ha dato un esempio di come le
aspirazioni indipendentiste possano essere affrontate e governate in
modo non traumatico — ha definito i provvedimenti adottati in sede
giudiziaria a Madrid come “i peggiori possibili” e ha aggiunto: ”Nello
stato spagnolo manca l’intelligenza politica necessaria a gestire
situazioni che nascono da aspirazioni che hanno una base sociale
importante e che dovrebbero indurre ad adeguare l’azione politica alla
realtà”.