Il Fatto 4.11.17
Come far finta che Giulio non sia stato ucciso al Cairo
Omicidio
Regeni: - All’improvviso si “scopre” la pista di Cambridge: tutto fa
brodo a Roma purché non si tocchi il regime di Al-Sisi
di Guido Rampoldi
Appaiono
talvolta sui giornali notizie clamorose che sarebbero ancor più
clamorose se in calce comparisse il nome di chi ha passato le carte al
cronista, e perché. Per esempio in questi giorni va forte sui quotidiani
l’informazione seguente: la Procura di Roma ha chiesto alla Gran
Bretagna una rogatoria dell’egiziana Maha Abdel Rahman, docente di
Social Sciences all’Università di Cambridge e tutor di Giulio Regeni
nella ricerca che l’italiano stava conducendo al Cairo. Dagli articoli
che ne riferiscono, risulta che la professoressa sia persona ambigua,
legata ai Fratelli musulmani.
Avrebbe usato Regeni per un’attività
informativa segreta o inconfessabile. In ogni caso finora si è
sottratta alle domande della Procura di Roma, così negando all’inchiesta
una parte significativa della verità. E Renzi fa eco: “Noi vogliamo con
forza la verità su Giulio Regeni. La verità, solo quella. Per questo
chiediamo da mesi chiarezza anche all’Università di Cambridge, come oggi
fa il quotidiano Repubblica. Il team che seguiva Giulio sta nascondendo
qualcosa?”. Proviamo a rispondere.
Secondo il Corriere della Sera
la professoressa Rahman non milita nei Fratelli musulmani ma nella
sinistra egiziana, probabilmente in uno di quei network resistenziali
creati da egiziani della diaspora dopo il golpe (2013). È verosimile che
l’impegno politico le abbia preso la mano quando indirizzava da
Cambridge la ricerca di Giulio Regeni suggerendogli contatti e condotte.
Di sicuro ha sottovalutato i rischi che Regeni correva, o che lei
stessa gli faceva correre. Dopo l’assassinio è caduta in una crisi
depressiva: non pare la reazione di una spietata rivoluzionaria, ancor
meno di una spia. Perché l’anno scorso svicolò quando gli inquirenti
italiani le chiesero di deporre? Presumibilmente per tre motivi: teme
per la vita di parenti e amici al Cairo; non si fida di una Procura che
dichiara rapporti di mutua collaborazione con i magistrati di Al-Sisi
(nella realtà non è così, ma la professoressa non è tenuta a saperlo); è
consigliata da Cambridge, che paventa una richiesta di risarcimento
dalla famiglia Regeni.
Infine e soprattutto: il sospetto che vuole
Regeni strumento inconsapevole di una cospirazione, o comunque di
un’attività informativa funzionale a un trama per abbattere la
dittatura, è tragicomico. Chiunque conosca un po’ l’Egitto sa che per
far fuori Al-Sisi bisogna manovrare nel vertice militare, una vasca di
pescecani pronti a divorarsi (il dittatore non si fida neppure dei suoi
congiunti, uno dei quali, il capo di Stato maggiore Mahmoud Hegazy, è
stato rimosso la settimana scorsa, appena tornato da un viaggio negli
Usa). Certamente Regeni studiava un settore sensibilissimo della crisi
egiziana, i sindacati indipendenti. Ma i suoi report non potevano
aggiungere nulla a quanto già conoscevano i servizi segreti qatarini o
turchi, legatissimi ai Fratelli musulmani, o britannici, che hanno una
storica presenza in Egitto.
Dunque le reticenze della
professoressa Abdel Rahman sono del tutto laterali rispetto ad un
assassinio chiarissimo nei suoi tratti essenziali: Giulio Regeni è stato
arrestato dagli apparati di sicurezza di Al-Sisi e non è uscito vivo
dalle loro prigioni.
La Procura di Roma sarebbe già ora in grado
di emettere qualche provvedimento, anche blando, contro poliziotti
egiziani. Perché esita? Forse perché è l’ufficio giudiziario fisicamente
più vicino al governo, quello tradizionalmente chiamato ad un ruolo
improprio, caricarsi sulle spalle ‘preoccupazioni politiche’: Al-Sisi
reagirebbe male se i pm italiani accusassero di fatto il suo regime; e
l’eventualità spaventa il governo italiano, convinto che l’egiziano sia
un interlocutore necessario.
Così necessario che in agosto Roma ha
rimandato in Egitto l’ambasciatore, ufficialmente anche per seguire
inesistenti indagini sull’omicidio. Però a quel punto bisognava esibire
qualche risultato, e il Cairo non collaborava. Allora si è ricorsi ai
trucchi di scena. Appena il governo ha avuto dalla Procura la richiesta
di rogatoria per la professoressa Abdel Rahman, alcuni quotidiani hanno
ricevuto le carte; incolpevoli cronisti giudiziari ne hanno scritto; e
Renzi ha potuto lanciare il suo severo monito a Cambridge. Lo stesso
Renzi non ha mai speso parole men che garbate verso il regime di
Al-Sisi, sul quale in passato riversò lodi e professioni di amicizia.
Qualcuno gli ricordi che anche nelle farse occorre rispettare il limite
della decenza.