Corriere 4.11.17
La tutor di Giulio al Cairo: non l’abbiamo messo a rischio. Cercate i veri responsabili
di Viviana Mazza
Rabab El Mahdi: «Cambridge non ha niente da nascondere»
«Sono
scioccata e arrabbiata», dice Rabab El Mahdi, la tutor di Regeni
all’Università Americana del Cairo, dopo le accuse e i sospetti
pubblicati sui media italiani sulla supervisor di Cambridge Maha
Abdelrahman e su lei stessa. «Non solo questi articoli sono ingannevoli e
rivelano una seria mancanza di comprensione su come funzioni la ricerca
accademica, ma servono a spostare l’attenzione dalla vera questione:
chi ha torturato e ucciso Giulio. Sembrano suggerire che il modo in cui
Giulio ha condotto ricerche al Cairo, inclusi i rapporti con i suoi
supervisor, spiegherebbe cosa gli è successo. Questo è del tutto
sbagliato. Ricordiamoci che il video fatto trapelare su Giulio non lo
mostra mentre conduceva interviste per le sue ricerche, ma mentre
discuteva l’offerta di un finanziamento con un membro del sindacato
(Giulio voleva fare domanda per una borsa da 10 mila sterline alla
Antipode Foundation, che assegna fondi per progetti collaborativi tra
accademici e attivisti, ndr ). Fondi simili sono estremamente sensibili
in Egitto, dove le autorità controllano ogni mossa sulle opportunità di
finanziamento. Questa borsa e l’offerta di Giulio non facevano parte
della ricerca, nessuno dei supervisor era coinvolto».
Ci sono 5
punti secondo la Procura di Roma su cui è «di massimo interesse
investigativo fare chiarezza». Primo: chi ha scelto il tema specifico
della ricerca di Giulio? Il sospetto è che sia stata Abdelrahman e non
lui.
«Non è vero. A Giulio interessava lavorare sull’Egitto e su
questo tema già prima del dottorato a Cambridge. Sul Sole 24 Ore del
febbraio 2016, Gilbert Achcar, professore alla Soas, rivela che Giulio
lo contattò già nel 2012 per esprimere interesse a condurre ricerche
sotto la sua supervisione sui sindacati indipendenti in Egitto. Non
riuscì a ottenere i fondi per un dottorato ma andò in Egitto per uno
stage con un’agenzia Onu. Quando si è iscritto al dottorato nel 2014, è
stato lui a cercare Maha Abdelrahman, in quanto esperta di Egitto e di
movimenti sociali. È l’opposto: Giulio ha scelto l’argomento e ha
cercato supervisor esperti sul tema».
Chi ha deciso che fosse lei la tutor di Giulio in Egitto?
«Non
so chi mi abbia scelto, Giulio mi ha contattata. La decisione è
accademica. L’Auc è la maggiore istituzione in lingua inglese in Egitto e
io la sola docente lì che abbia lavorato sui sindacati, in particolare
quello degli esattori, fulcro della sua ricerca. La sua supervisor ha
cercato di offrirgli la rete di supporto più appropriata».
Tre: chi ha deciso il metodo della ricerca partecipata?
«Chiunque
abbia competenze basilari di ricerca lo capisce. È come chiedere perché
la Procura debba interrogare dei testimoni per un’inchiesta. Visto che
studiava un fenomeno socio-politico contemporaneo, questo è l’unico
metodo. Non poteva fare ricerche d’archivio, né esperimenti di
laboratorio. Doveva fare interviste, osservare gli incontri e i
sindacalisti».
Chi definì le domande fatte da Giulio agli ambulanti?
«Giulio,
come ogni studente. I supervisor assicurano che siano rilevanti per
rispondere al più ampio quesito della ricerca. Vi ricordo che nel video
segreto girato dal venditore ambulante Mohamed Abdallah, lui non parla
con Giulio delle domande ma delle 10 mila sterline. Se Giulio avesse
fatto domande inappropriate o sospette nell’ambito della ricerca, le
avremmo sentite».
Infine: Giulio ha consegnato ad Abdelrahman dei «report» durante un incontro al Cairo il 7 gennaio 2016?
«Non
so se li abbia scritti o consegnati, con me non li ha condivisi.
Presentare come sospetto questo processo normale di scrivere appunti e
report è ignorante e contribuisce a confondere la verità sui colpevoli
del rapimento e della tragica morte di Giulio».
Lei ha parlato con gli investigatori italiani?
«Certo,
poco dopo l’omicidio, e ho risposto a tutte le domande. Nonostante il
trauma, sono andata al funerale in Egitto e la supervisor di Cambridge a
quello in Italia. Se avessimo qualcosa da nascondere, non l’avremmo
fatto. Questo trauma pesa sulle nostre vite accademiche e personali. È
per integrità e rispetto che entrambe e specialmente Abdelrahman siamo
state lontane dai media: il caso dev’essere sotto i riflettori, non noi e
il nostro dolore».
La Procura cerca gli studenti di Cambridge
andati al Cairo prima di Giulio. Sospettano che Abdelrahman chiedesse
spesso di lavorare sui sindacati autonomi. In una chat Giulio avrebbe
espresso preoccupazione anche su di lei perché è un’attivista e un’altra
sua studentessa sarebbe stata espulsa dall’Egitto e finita dallo
psicologo.
«Nessuno dei miei studenti è stato espulso. Il mio
profilo politico non ha mai causato loro problemi. So di studenti di
altre università britanniche e americane (non di Cambridge) che stavano
lavorando allo stesso tema in Egitto e nessuno ha avuto problemi
straordinari. La professoressa Abdelrahman non ha mai avuto altri
studenti che lavoravano sui sindacati indipendenti. Ma molti altri hanno
espresso interesse perché è un fenomeno relativamente nuovo, che
consente di fare un lavoro accademico significativo. Giulio era anche
guidato dal desiderio di aiutarli, come si vede nel video, il che rende
la sua morte ancor più tragica. Era là per un interesse insaziabile di
capire e aiutare, non spinto da qualcuno. È un insulto alla sua memoria
suggerire il contrario».