Repubblica 4.11.17
Post-verità Il buio della ragione
Complottismo
e false notizie diffuse sul web sono la nuova, concreta minaccia alla
cultura e alla democrazia. Se ne parla il 17 a Milano al convegno della
Fondazione Umberto Veronesi
di Laura Montanari
“Il
miglior correttivo alla post- verità è la verità, cioè la cultura” ha
scritto, qualche tempo fa, il filosofo Maurizio Ferraris. Studio e
competenza come antidoto ai trucchi e alle bugie che viaggiano più
veloci di sempre sulle strade telematiche. È di questi temi che si
occupa Science for Peace 2017, nona edizione della Conferenza
internazionale che la Fondazione Umberto Veronesi organizza alla Bocconi
di Milano per il 17 novembre.
È un appuntamento particolare
questo che si svolge a un anno dalla scomparsa del celebre oncologo
perché segna un transito, quasi un passaggio generazionale. Non a caso è
stato scelto un tema molto caro allo stesso Umberto Veronesi, quello
che riguarda il ruolo del sapere scientifico nel mondo di oggi. Di
“Post-verità. Scienza, democrazia e informazione nella società digitale”
discuteranno esperti di differenti settori, come per esempio il
professor Carlo Alberto Redi, docente di zoologia e biologia dello
sviluppo all’università di Pavia. Le post-verità (dall’inglese
post-truth) sono quelle notizie che girano in rete e che vengono
recepite come “vere dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni
senza alcuna analisi effettiva sulla veridicità” (secondo la definizione
che si legge su Wikipedia). «Dobbiamo ripartire dal dato scientifico,
soltanto quello può metterci davanti a ciò che è vero», spiega Redi. Il
problema nasce dalla diffusione dei nuovi media: se da una lato apre
orizzonti positivi per la condivisione del sapere e per la
sperimentazione di nuove pratiche di democrazia deliberativa, dall’altra
ci espone al rischio che i social network creino echo chambers, casse
di risonanza online in cui le medesime informazioni, anche quelle non
corrette, sono via via confermate e amplificate in circolo.
Già
nel 2013 il World Economic Forum metteva in guardia contro la minaccia
globale della disinformazione digitale su larga scala, sottolineando
come essa possa essere intenzionalmente creata da attori statali e
non-statali per promuovere specifici interessi politici o economici. «Il
rimedio è muoversi nello spirito di quello che ci ha insegnato Umberto
Veronesi», riprende Redi, «cioè riconoscere prima di tutto l’evidenza
scientifica, poi confrontarsi sulle opinioni».
Eppure, dalle
staminali come panacea di tutti i mali ai vaccini pericolosi, alle
teorie complottiste che rimodellano il passato sostenendo che l’uomo non
è mai stato sulla Luna o che gli extraterrestri sono fra noi, in rete
si legge di tutto: «Servirebbe alle notizie un bollino di certificazione
», prosegue il professor Carlo Alberto Redi, che è anche vicepresidente
del comitato etico della Fondazione Veronesi, «c’è necessità di educare
alle competenze. Quando andavo a scuola, nella mia classe c’era per
esempio un ragazzo con la poliomelite, oggi grazie ai vaccini quella
malattia è scomparsa. Scrivere e diffondere in rete che i vaccini
provocano l’autismo e indurre le persone a non vaccinarsi è un danno per
tutti. Vaccinarsi è un dovere, un gesto di rispetto verso la salute
degli altri».
Tra i punti che verranno discussi in Science for
Peace anche la questione del diritto alla salute: «Assistiamo a
disparità nell’accesso alla salute, il modello univer- sale precipita
davanti ai numeri della sostenibilità della spesa finanziaria», conclude
il biologo dell’università di Pavia, «mentre dobbiamo invertire la
tendenza e riaffermare politiche sanitarie inclusive, per tutti. Proprio
su questo la Fondazione ha prodotto un documento che si trova in rete
utile da consultare per chi ha responsabilità di politica sanitaria».
Le
ricadute delle fake news hanno orizzonti ampi che investono anche la
politica con effetti diretti sul diffondersi di populismi. Si può
forgiare una pseudo verità e guardarla viaggiare sui social network:
«Vale la pena riflettere su come i nuovi media abbiano modificato il
rapporto fra la politica e i cittadini e quindi come possa cambiare la
rappresentanza democratica », spiega Alberto Martinelli, docente alla
Statale di Milano e presidente dell’International Social Science
Council. «Dobbiamo interrogarci anche su quale sia in questo scenario la
responsabilità degli scienziati, dei giornalisti, degli insegnanti.
Tutto questo senza avere atteggiamenti luddisti nei confronti del
digitale, anzi riconoscendone l’importanza». Nella rete tutti possono
diventare produttori di news e tutti possono diventare echo chambers,
veicolare messaggi. Gli effetti di queste dinamiche possono essere di
ampia portata e in un’epoca in cui i cittadini sono chiamati a decidere,
o almeno a farsi un’opinione, su tematiche complesse e che spesso
necessitano di competenze scientifiche. Un ambiente saturo di
informazioni non controllate può diventare un pericolo per la
democrazia, aprendo le porte a quella che è stata definita politica
della post-verità. L’antidoto, secondo Martinelli è «rivalutare il
lavoro del ricercatore che deve argomentare le proprie tesi, del
giornalista per verificare le fonti e inserire le news in un contesto,
degli insegnanti che devono sviluppare negli allievi il senso critico».
Soltanto così potremo fermarci, non cliccare il tasto “inoltra” per
spargere menzogne, sulla fantomatica sorella in pensione a 35 anni della
presidente della Camera Boldrini, sull’immigrazione africana come unica
causa del diffondersi della meningite, sulla morte di Britney Spears o
sul microchip sottocutaneo obbligatorio per il controllo della mente dal
2018.