giovedì 30 novembre 2017

Repubblica 30.11.17
Il fascismo normale
di Tommaso Cerno

Ciò che conta raccontare dopo la trasferta neonazista di Como è la cornice di quei proclami: un’Italia stremata, impoverita, dove la banalizzazione del fascismo è considerata normale.
«Il Duce fece bene, tranne le leggi razziali», disse perfino Berlusconi alla giornata della Memoria. Segno che la destra italiana non ha mai fatto i conti con il suo passato. Anzi, nel 1994, l’ex Msi di Fini fu sdoganato così com’era, con i suoi saluti romani e il suo fascismo interiore.
Fu pitturato di fresco, bardato con un nuovo nome e portato al governo sulla parola. Dall’ex Cavaliere. Fini stesso, che poi ebbe stravaganti vicissitudini, non affrontò mai in Italia il proprio passato. Lo fece lontano dal fronte mussoliniano, in Israele, ponendosi sul capo la kippà ebraica durante la visita allo Yad Vashem di Gerusalemme.
E scatenando l’insulto perfino sull’Olocausto da parte della destra radicale ed estrema.
Quella che oggi torna ad avere diritto di cittadinanza.
Va detto che la banalizzazione del fascismo si fa più pericolosa perché va di pari passo al dilagare dell’odio popolare per le istituzioni democratiche: Parlamento, governo, elezioni sempre più deserte. Eppure le istituzioni, la nostra malandata repubblica, esausta della crisi politica ed economica, sommersa dalla burocrazia, sono nate dal grido di ribellione alla dittatura fascista che avevamo regalato al mondo. E che ha poi prodotto gli anticorpi per sconfiggere il regime di Mussolini, grazie alla resistenza italiana e all’azione degli alleati. Un atto fondativo profondo, che sembra perdere portanza e rimandarci indietro. Pare infatti che l’Italia abbia dimenticato quella ribellione di massa costata sangue, l’abbia relegata ai calendari ufficiali, la celebri solo nelle feste comandate della democrazia, ma non la respiri più. Si avvera il paradosso di Bobbio, discutere sull’equivalenza fra fascismo e comunismo ha finito per generare una insana equivalenza fra fascismo e antifascismo. Si genera così una miscela esplosiva, i cui effetti sono facili da prevedere: il fantasma del neofascismo riemergerà dal sottosuolo dove credevamo di averlo sepolto con Mussolini e Hitler nel 1945. Ecco perché fatichiamo a capire che la banalizzazione del fascismo è grave. Non si capisce che la questione non si ferma agli episodi che dividono gli italiani fra chi si indigna e chi no, bensì mette in crisi l’atto fondativo stesso della nazione e le regole su cui si basa la nostra convivenza. Dopo Ostia e Como, la risposta che arriva dai leader della destra italiana è insufficiente. Nei toni e nella sostanza. Il no comment equivale all’indifferenza. Mai come adesso, invece, la destra ha il dovere di fare il lavoro che finora non è stato fatto: perimetrare con chiarezza il proprio confine culturale e politico. E dirci cosa vuole essere nei confronti del neofascismo italiano. Solo così potremo superare i tre modelli di destra italiana (mussoliniana, dorotea e berlusconiana) e vederne nascere una europea, che non votiamo, ma che ci fa dormire sonni tranquilli. E non risveglia l’incubo del mostro nero che torna.