Repubblica 3.11.17
L’eterno inganno di Berlusconi
di Tommaso Cerno
NON
è l’eterno ritorno, è l’eterno inganno. Contro ogni legge di gravità
politica, Silvio Berlusconi sta di nuovo in piedi. Si è ripreso il
campo, quel campo dove è andato in scena, nell’ultimo quarto di secolo,
uno dei più grandi e macabri spettacoli politici del dopoguerra. C’è da
chiedersi come faccia quel signore che viene dalla fine del tempo
democratico a essersi rialzato dopo quel che gli è successo. Non basta a
spiegarlo la sua straordinaria capacità di campaign, le tre elezioni
vinte. Non basta perché più di quello pesa il triplice fallimento da
uomo di governo, che lo portò a lasciare Palazzo Chigi firmando le sue
dimissioni sotto i colpi dello spread.
NO, LA SPIEGAZIONE va
cercata altrove. Non sta dentro quel corpo mutato e indurito dal trucco.
Sta nel deserto del campo avverso, sugli spalti vuoti della sinistra.
Un deserto che il Pd pagherà per anni, dopo avere retto governi, propri e
impropri, da Mario Monti in avanti, sotto l’insegna retorica della
responsabilità, agitando l’amor di Stato come ragione della propria
azione politica. Invece le debolezze della sinistra, le fratture
interne, la banalità del gergo incapace di capire le sfide della crisi
globale hanno prevalso. E la sinistra non ha incassato alcun dividendo
elettorale dall’azione di governo. Per questo è tornato Berlusconi,
semplicemente parlando all’istinto di destra che c’è in Italia — perché
c’è ed è pure tanto — e che c’è nel mondo.
L’alchimista Silvio è
capace di tradurre quelle formule oscure che spaventano America ed
Europa qui da noi, collocandosi in un luogo politico indefinito, che
veleggia in barba alle onde fra populismo e Trump. Eppure lui, con la
solita faccia tosta del gaffeur, illude il Paese. Si spaccia per ciò che
non è, il padre dei moderati che s’è fatto ormai nonno. Una bugia che
Berlusconi, con il tocco permanente del finto dilettante, fa credere
alla gente, quando invece se c’è una cosa che non ha voluto né saputo
fare in questi anni è stato fondare una destra conservatrice in Italia.
Qualcosa di cui ci sarebbe stato bisogno.
Ora che il guaio è
fatto, la sinistra fa a Berlusconi un attraente regalo di bentornato: il
Rosatellum. Sarà lui a beneficiarne, lui e il suo equivoco politico
permanente. Quello che gli consentì nel 1994 di tenere insieme il
nazionalismo di Fini e il secessionismo di Bossi e che oggi mostra
ancora quegli stessi limiti, da una parte si erge a presunto argine dei
populismi, dall’altra fa l’imitatore dei sovranismi alla Le Pen e alla
Salvini. Perderanno invece voti gli altri: Grillo che si vuole solo e
che respinge le alleanze, perché si nutre di castità partitica; il Pd
che, a parole, apre alle coalizioni allargate ma poi non le sa fare,
finendo per frantumarsi in mille pezzi.
Questi nodi non sono
sciolti e sono forse l’unica chiave per cercare un pertugio, un
passaggio per fermare la destra. Perché se Berlusconi, finora, è sempre
stato capace di nascondere questo difetto di fabbrica durante le
campagne elettorali, celare cioè le contraddizioni salvo poi
ritrovarsele tutte riproposte una volta che sedeva al governo, stavolta è
a un bivio: non sa con chi governerà perché le alleanze si chiuderanno
formalmente dopo il voto. La domanda da farsi, dunque, è: che carte ha
davvero in mano? Può fare due scelte: governare con Salvini, che
significa mutare la natura del segretario leghista da animale
anti-governo tutto ruspe e distintivo in diligente e addomesticato
ministro di un esecutivo targato Forza Italia. Oppure rovesciare il
tavolo e guardare verso Renzi. Ma non è così facile, nemmeno per un mago
dell’equivoco come lui, far digerire all’ex rottamatore della sinistra
quel caravanserraglio di rottamati della destra che fu. Ecco il limite
di questo ritorno di Berlusconi. Con lui ritorna anche il suo deficit
politico e culturale, torna il passato, l’eredità dei suoi conflitti.
Tornano i nodi pratici del berlusconismo d’antan. Primo fra tutti la
giustizia, tema irrisolto. Non è affatto a orologeria, è dovuto a
questioni mai chiarite come il ruolo di personaggi chiave della sua
ascesa negli anni Novanta, quel Marcello Dell’Utri in carcere per
concorso esterno alla mafia e quel Cesare Previti condannato per reati
pesantissimi. Un peccato originale, che inquina il pozzo della destra,
sul quale Berlusconi non ha la coscienza a posto e non ha mai
rendicontato al Paese. Fino all’estrema contraddizione: essere
incandidabile in virtù di una legge votata dal suo stesso partito, la
legge Severino, e fare finta che non esista. Anzi, usarla per fare la
vittima, per dirsi oggetto di una campagna politica e giudiziaria ordita
ai suoi danni da non si sa bene chi, la cui origine sta invece tutta
nelle azioni e nelle omissioni del Berlusconi Silvio. In veste prima di
imprenditore legato alla politica, poi di politico legato alla sua
stessa impresa.
Lo spazio per fermarlo è lì. Se la sinistra non
passerà da questo pertugio, la campana che sentiamo suonare rischia di
suonare a morto per Renzi e per il Pd. Perché il Cavaliere sa evocare il
campo. Ed è tornato a stare in piedi da solo, come Voldemort di Harry
Potter riprende carne e forma, pronto a giocare per l’ultima volta su
quel campo. Mentre quelli che vediamo a sinistra non sono campi
democratici, ma sono orti e orticelli. Dove ognuno semina la sua pianta.
Ignaro che sta per venire il grande freddo del Nord. E tutto gelerà.