Repubblica 2.11.17
Cosa ci insegna il film più razzista mai girato
“Süss l’ebreo”, uscito nel 1940 in Germania, è l’esempio più riuscito (e per questo attualissimo) di istigazione all’odio etnico
di Siegmund Ginzberg
Masse
di immigrati sporchi, barbuti e cenciosi, con facce torve da far paura,
invadono la regione più prospera del Paese. Dilagano in città intonando
una canzone beduina. Portano malattie, corruzione, lussuria e
criminalità. Ad invitarli è stato uno straniero,
immigrato come
loro, un clandestino che si è arruffianato i governanti. È riuscito
addirittura a farsi nominare ministro, ha oberato di tasse i locali.
Verrà punito a furor di popolo, impiccato dentro una gabbia di ferro,
solo dopo l’ennesima malefatta, lo stupro di una giovinetta locale.
Sono
immagini dal film Jud Süss (in italiano Süss l’ebreo) di Veit Harlan.
Fu uno dei maggiori successi di tutti i tempi sugli schermi tedeschi.
Dal 1940 al 1943 ebbe oltre 20 milioni di spettatori. Era stato
presentato in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia. «Non esitiamo
a dire che, se questa è propaganda, allora ben venga la propaganda… un
film di perfetta unità ed equilibrio… di stupefacente maestria
l’episodio in cui Süss violenta la ragazza…», scrisse un giovane critico
allora ventottenne. Si chiamava Michelangelo Antonioni. In effetti il
film è ben fatto. Per molti versi è un capolavoro. Un capolavoro di
incitamento all’odio.
Era stato commissionato, anzi prodotto, da
Goebbels, il ministro della propaganda di Hitler. E diventò una delle
più formidabili promozioni pubblicitarie per lo sterminio. Persuasione
di massa, altro che solo letteraria, come le Bagatelle per un massacro
di Cèline... Venne proiettato contemporaneamente in una ventina di
cinema di Berlino, in centinaia di sale in tutto il Reich. Andare a
vederlo divenne obbligatorio per i membri della Gioventù hitleriana,
praticamente tutti i giovani tedeschi. E poi in tutte le capitali
occupate, e persino in qualche paese neutrale. Venne doppiato in russo e
in ucraino. Lo proiettavano anche ad Auschwitz. Per incoraggiare gli
aguzzini e distruggere il morale delle vittime. «Dovevate vedere che
faccia avevano i prigionieri il giorno dopo!», avrebbe testimoniato al
processo svoltosi nel 1961 una delle guardie.
La stampa del Reich
aveva istruzioni precise. Il film non doveva essere presentato come
propaganda antisemita ma come «rappresentazione oggettiva degli ebrei».
Ci tenevano a farlo passare come ricostruzione fedele di fatti storici:
l’ascesa, il processo, la condanna e l’esecuzione del consigliere
finanziario del duca del Württemberg, a metà Settecento. «Fatti
realmente accaduti» pretendevano i titoli di testa. Il film inizia con
un fittizia «pagina di storia» su «come l’Ebreo Süss fece ingresso a
Stoccarda », aggirando gli antichi divieti di immigrazione. Si prosegue
mostrando come poi abbia richiamato una marea di altri migranti, che
entrano a Stoccarda «come locuste», intonando il
Canto del cammelliere, melodia composta da un sionista emigrato in Palestina dall’Ucraina.
Processato
dopo la guerra, Harlan si difese sostenendo che il suo film non
chiamava a sterminare gli ebrei ma “solo” a farli andare via
dall’Europa. Goebbels aveva bocciato una prima sceneggiatura, forse
perché troppo smaccatamente antisemita. Teneva soprattutto a dare
l’impressione di autenticità. Il regista ottenne persino di far arrivare
degli ebrei da Praga. Gli servivano comparse con “autentici” tratti da
ebreo.
Dei circa 200 reclutati solo uno sopravvisse. Si sarebbe
vantato di avere con quelle fisionomie ottenuto effetti «davvero
demoniaci ». Erano così consoni allo stereotipo che Goebbels ritenne
opportuno far diramare, in occasione della première, un comunicato in
cui si precisava che nessuno degli attori aveva «sangue ebraico». Werner
Krauss, che interpretava nel film più parti di ebrei e rabbini, si
vantò di essere talmente bravo come attore da non dover ricorrere ad un
naso posticcio. Fu Goebbels in persona a indicare per il ruolo di Süss
il prestante Ferdinand Marian, un seduttore nato, idolo delle
spettatrici. Sorvolando sul fatto che aveva sposato (e poi divorziato)
da una pianista ebrea, da cui aveva avuto anche una figlia. Il risultato
è che per gran parte del film il personaggio additato all’odio non si
distingue più per segni esteriori. Dismessi barba incolta, riccioli, il
caffetano logoro, la kippà, assume le apparenze di un raffinato
gentiluomo di corte. È un immigrato perfettamente integrato. È un ebreo
mascherato, quindi più pericoloso. È la riprova della necessità di
costringere gli ebrei a esibire la stella gialla.
Un altro dei film della stessa serie antisemita promossa dal Partito nazista, il documentario
Der
Ewige Jude, L’eterno ebreo, ricorreva a dati, tabelle, animazioni,
sovrapposizioni di migranti e topi immondi, persino filmati girati nel
degrado umano dei ghetti della Polonia occupata per illustrare quanto
fosse perniciosa l’invasione dell’Europa da parte della razza
proveniente dal Medio Oriente. Con qualche ritocco potrebbe passare per
un documentario stile Lega su profughi e terroristi di oggi. Jud Süss è
un film molto più assassino. Proprio perché fa finta di non essere
becero.
Il pezzo forte, come in quasi tutti i linciaggi e i
pogrom, è la violenza sessuale perpetrata dallo straniero scuro sulla
sua vittima bianca. Nel film lei è interpretata niente meno che dalla
nuova moglie svedese del regista, biondissima e con un viso d’angelo.
Viene concupita dall’ebreo, si suicida dopo essere stata disonorata.
L’introduzione dello stupro è totalmente gratuita. Non c’è in
nessun’altra delle circa duecento diverse versioni (in forma di opera
letteraria, teatrale, musicale, nonché filmica o radiofonica) precedenti
della storia. Ne
L’Ebreo Süss di Lion Feuchtwanger, del 1925,
così come nel film britannico dallo stesso titolo che ne fu tratto nel
1934, a morire, mentre cerca di sottrarsi ad un tentativo di stupro da
parte del cattolicissimo Duca, è la figlia di Süss. Nel racconto che il
romantico Wilhelm Hauff aveva scritto un secolo prima, a suicidarsi,
tradita dall’innamorato ariano, è la sorella ebrea di Süss. Stereotipi
riguardo gli ebrei abbondano anche in tutte queste altre versioni, ma è
Süss la vittima. Vittima dei pregiudizi, dei giochi di potere, del
feroce conflitto tra cattolici e protestanti, in cui gli ebrei si
trovarono in mezzo come vasi di coccio.
La trovata nazista
consiste nel prendere una vicenda autentica, che si presta come poche
altre al romanzo, l’impiccagione del consigliere finanziario del Duca
del Württemberg nel 1738, e manipolarla per ottenere il massimo di
effetto odio. In realtà anche i giudici originali avevano cercato di
mettere di mezzo il rapporto proibito tra l’ebreo e donne tedesche (con
le leggi razziali naziste di Norimberga sarebbe ridiventato passibile di
morte). Ma senza riuscirvi. Tanto che la condanna fu emanata per
generica Präpotenz (abuso di potere), non, come pretende in film, in
base ad un’antica e dimenticata legge contro i rapporti sessuali tra
ebrei e non.
Il film, come altre pellicole naziste, nella Germania
di oggi resta proibito. Da noi si trova integrale in internet. Io sono
convinto che andrebbe mostrato nelle scuole, come esempio di come si può
costruire un linciaggio epocale su fake news.