Repubblica 2.11.17
Così il risultato del voto sull’isola può riaprire la grande partita tra i dem
di Stefano Folli
QUAL
è la soglia sotto la quale il risultato della Sicilia può aprire una
crisi grave nel Pd? Gli ottimisti, vicini al segretario Renzi, negano di
fatto che questa soglia esista. Negano quindi che lunedì mattina i dati
di siciliani siano tali da produrre contraccolpi a Roma. In fondo, ecco
il loro argomento, la percentuale del Pd anche nell’Assemblea appena
sciolta era modesta e inoltre la campagna in corso risente di
circostanze particolarmente sfavorevoli a causa del bilancio negativo
della giunta Crocetta.
C’è del vero. Il Pd raccolse nel 2012 il
13,4 per cento, a cui si aggiunse il 6,2 circa della lista personale del
candidato presidente. Una spinta significativa venne dai centristi
dell’Udc che ottennero quasi l’11 per cento. In totale il centrosinistra
andò al governo della regione con il 30,5. Di cui poco meno del 20 era
da attribuire al Pd più la lista Crocetta. Questo sembra il dato da
tener presente lunedì, quando si valuteranno i risultati. Micari, il
candidato del centrosinistra è sostenuto, oltre che dal Pd, dal sindaco
di Palermo Leoluca Orlando. Inoltre lo appoggiano i centristi di Alfano
che però appaiono assai più deboli di quanto fosse l’Udc di cinque anni
fa. Se la somma delle varie sigle fosse inferiore al 20 per cento,
rispetto al 30,5 del 2012, s’imporrebbe una riflessione. Vorrebbe dire
che la discesa del Pd unita all’insuccesso centrista si è risolta in un
collasso. Dentro tale cornice andrà analizzato anche il risultato del
Pd, in apparenza irrobustito dal sostegno di Orlando. Al di sotto del
10-11 per cento il segnale d’allarme suonerebbe non solo a Palermo, ma
al di là dello Stretto. Per la semplice ragione che cinque anni fa alla
percentuale del Pd (13,4 come detto) andava aggiunto il 6 per cento di
Crocetta. E inoltre Micari è stato, sì, proposto dal sindaco di Palermo,
ma rappresenta un ponte verso il “renzismo”. In altri termini, l’onda
siciliana rischia di travolgere i vecchi equilibri ben oltre le attese.
Il ritorno del centrodestra nella versione bicefala Berlusconi- Salvini;
il fatto che il candidato presidente sia lo stesso Musumeci del 2012,
ma stavolta con prospettive di vittoria, segno che lo spostamento a
destra è servito; l’irrompere dei Cinque Stelle con tutte le loro
contraddizioni: ce n’è abbastanza per capire che le elezioni in Sicilia
non sono un evento circoscritto e in qualche modo confinato alla
dimensione insulare. Tanto più che bisogna considerare anche la lista di
Claudio Fava, sinistra radicale: la sua percentuale sarà un altro
termometro utile a misurare lo stato di salute del Pd.
GLI
ottimisti insomma camminano sul filo del rasoio. Lunedì prossimo è
necessario che i dati da Palermo non siano esplosivi, se si vuole
ottenere che a Roma, in via del Nazareno, nulla cambi. Altrimenti
potrebbero crearsi le condizioni di un certo smottamento negli assetti
di potere. Si capisce perché. Il disegno di Renzi è intuibile: non vuole
grane interne e sopratutto non desidera che qualcuno gli metta i
bastoni fra le ruote quando - fra breve si decideranno le candidature
nazionali. È plausibile che egli voglia tenere per sé una larga
maggioranza dei gruppi parlamentari, eleggendo persone a lui fedeli e
concedendo il giusto, ma senza punte di generosità, ai notabili, da
Franceschini a Orlando.
Sulla carta questo percorso non dovrebbe
essere interrotto dalla delusione siciliana, peraltro attesa. Ma è
appunto una questione da verificare nel concreto a partire da lunedì.
Una disfatta oltre misura potrebbe creare il panico sul piano nazionale
fra i quadri e i militanti. In fondo Renzi conosce solo la marcia
avanti, puntando su se stesso in ogni circostanza. E tale
caratteristica, accettata finché i vantaggi superano gli svantaggi,
potrebbe all’improvviso apparire autolesionista. Finora i nomi storici
del Pd, a cominciare da Veltroni, hanno criticato il segretario ma lo
hanno lasciato fare. Dopo la Sicilia potrebbero decidere che è giunto il
momento di cambiare tattica e di chiedere al leader il fatidico passo
indietro. Il senatore Mucchetti, un indipendente certo non amico di
Renzi ma libero da vincoli correntizi, ha già buttato il sasso nello
stagno. Non c’è che attendere. Tutto dipende dal voto in Sicilia.