Repubblica 2.11.17
Sul fiume delle Perle il mega-ponte di Xi ultima meraviglia del boom cinese
Così Pechino lega sempre più Hong Kong a sé con un tunnel degli abissi e tre isole artificiali
di Angelo Aquaro
ZHUHAI
LA RAGAZZA Pescatrice può finalmente andare in pensione. Era il 1982
quando la statua che incanta i turisti sul Fiume delle Perle fu eretta a
simbolo di un paesino che cominciava a godere dell’apertura di Deng
Xiaoping dopo secoli di invidia per le fortune di Hong Kong
dirimpettaia. Ma adesso che la Cina di Xi Jinping sta entrando in una
“nuova era” è questo serpentone da 16 miliardi di dollari a raffigurare
plasticamente, e per 55 chilometri, la vendetta della storia. Perché la
cifra scolpita sui mega-piloni rappresenterà pure il più classico dei
“nodi” cinesi, che hanno anche un significato augurale: ma di questi
tempi non richiama l’ennesimo cappio al collo di Joshua Wong, appena
scarcerato, e dei ragazzi della Rivoluzione degli Ombrelli?
Zang
Jinwei, capo-operaio controllo qualità, 32enne del Jiangsu, provincia a
Nord di Shanghai a 2mila chilometri da qui, dice che «tutto il mondo
guarda a quello che stiamo realizzando, un’opera senza precedenti». E
per carità: chi s’era mai sognato di costruire quattro isole
artificiali, una che serve da “imbarco” dall’aeroporto di Hong Kong,
un’altra che diventerà supercentro turistico e immette nel tunnel che
scende a 47 metri di profondità, la terza che raccoglie le sei corsie
che riemergono dopo 7 chilometri e infine l’ultima che fa da smistamento
del traffico da 40mila auto al giorno tra Zhuhai e Macau? «Certo che mi
svegliavo la notte col pensiero di non farcela», confessa Lin Ming,
l’ingegnere capo progetto che apre in anteprima a
Repubblica una
di quelle meraviglie di infrastruttura che l’America di Donald Trump,
atteso in Asia questo fine settimana, se le sogna. La particolarità del
secondo ponte più lungo del mondo è proprio quell’inabissarsi per 7
chilometri fino a oltre 30 metri sotto il fondale per rispondere a due
necessità: proseguire per via aerea avrebbe messo a rischio i voli del
vicinissimo aeroporto mentre una discesa meno profonda avrebbe impedito
il transito delle 40 mila imbarcazioni, tante petroliere, che ogni
giorno attraversano il canale. Ma come posare il tunnel senza le isole? E
come costruire un’isola in meno dei tre anni impiegati in progetti
simili? Metteteci l’habitat a rischio del delfino rosa, ed ecco che la
mission era sembrata impossible. Finché Lin-Archimede, uno che nel tempo
libero butta giù gli schizzi del ponte di Messina («Il sogno di tutti
noi che facciamo questo mestiere») se n’è uscito con una di quelle idee
che sollevano il mondo: «Invece che pompare in mare tonnellate di terra
abbiamo costruito le isole innestando nel fondale 120 cilindri di
acciaio alti 15 metri: e li abbiamo riempiti di sabbia».
Eureka. E
tempi ridotti a 7 mesi: grazie, va detto, a quel formichiere di
centinaia, migliaia di operai ospitati sulle baracche galleggianti che
lavorano 24 ore su 24. Fu così che il megaponte favoleggiato da tempi di
Hong Kong colonia viene alla luce ora che la capitale finanziaria
d’Asia, depauperata dalla crescita assistita delle città-fotocopia
cinesi, Shenzhen in testa, si avvia a diventare vassallo del Dragone.
Non l’ha detto SuperXi che “Un paese, due sistemi”, la dottrina
concordata con il passaggio alla Cina, funziona benissimo? «Venga a
mettersi nei nostri panni», ti dice Jason Ng, scrittore e ideologo del
movimento di Wong: «Ogni giorno che passa avvertiamo sempre più la
scomparsa della semi-autonomia garantita da costituzione». E la
superstrada che dall’inizio dell’anno li riunirà alla terraferma è solo
l’ultimo nodo della corda che li lega ormai fisicamente a Pechino. Ma
intanto la Ragazza Pescatrice è finalmente vendicata, e il delfino rosa
può continuare a sguazzare. Bye bye Hong Kong: la Grande Muraglia (sul
mare) ti seppellirà.