Repubblica 2.11.17
Omicidio Regeni le bugie di Cambridge sui rischi di Giulio
Il ricercatore confessò le sue paure: “La tutor è un’attivista” Ma l’università ha taciuto. I pm: adesso deve collaborare
di Carlo Bonini e Giuliano Foschini
CAMBRIDGE
IL FANTASMA di Giulio Regeni torna a chiedere conto delle cruciali
reticenze, ora documentabili da Repubblica, che, da venti mesi,
contribuiscono a tenere in ostaggio, ostacolandola, la ricerca di una
parte significativa della verità sul suo omicidio. Quantomeno della sua
cornice. Delle sue premesse. E torna dunque inevitabilmente a bussare
qui, alla porta del “Centre of Development Studies” dell’università di
Cambridge, il dipartimento di Scienze sociali di cui Giulio era
dottorando di ricerca. Perché se è vero che è al Cairo che tutto è
finito ed è negli apparati del regime di Al Sisi che continuano a
trovare protezione i suoi torturatori e assassini, è altrettanto vero
che è cinquemila chilometri più a nord che tutto è cominciato.
Nell’Alison Richard Building, al 7 di West road, dove ha ripreso a
lavorare, dopo un anno di sabbatico, la professoressa Maha Mahfouz Abdel
Rahman.
LA TUTOR di Giulio, la committente della sua
“ricerca partecipata” che in una prima fase doveva occuparsi dei
sindacati egiziani, la donna i cui ricordi intermittenti, lacunosi e in
più di un caso insinceri, perché smentiti dai fatti, hanno sin qui di
fatto impedito di fare piena luce sull’ultimo tratto di vita di Giulio. E
però, ora, il tempo dei silenzi della professoressa Rahman e
dell’imbarazzo acquiescente dell’università di Cambridge è esaurito. O
quantomeno sembra esserlo. Il 9 ottobre scorso il procuratore di Roma,
Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco hanno trasmesso alla
“United Kingdom Central Autorithy” (Ukca), l’organo britannico
giudiziario di collegamento con le magistrature dei paesi Ue, un Ordine
Europeo di Investigazione (dal luglio scorso si chiamano così le nuove
“rogatorie rafforzate” all’interno dello spazio Schengen per le quali è
prevista l’immediata esecutività nel paese destinatario della richiesta)
con cui si chiede l’interrogatorio formale dell’accademica e
l’acquisizione dei suoi tabulati telefonici, mobili e fissi, utilizzati
tra il gennaio 2015 e il 28 febbraio 2016, per ricostruirne la sua rete
di relazioni. È un documento di dodici pagine che in queste settimane è
stato condiviso dalla nostra autorità giudiziaria con la Farnesina, il
ministero di Giustizia, il nostro ambasciatore al Cairo Giampaolo
Cantini, il Foreign Office britannico e di cui Repubblica è in possesso.
È un documento che, per la prima volta, sulla base di evidenze
istruttorie acquisite al fascicolo dell’inchiesta, illumina con dettagli
inediti l’ambiguità di Maha Mahfouz Abdel Rahman nella gestione del suo
rapporto accademico con Giulio Regeni, le omissioni della prima e le
inquietudini del secondo, espresse in almeno due rivelatrici
conversazioni via Skype con la madre Paola.
***
Maha Mahfouz
Abdel Rahman, dunque. A giudicare dal suo curriculum, la donna, di
origini egiziane, non vanta esperienze accademiche né di lungo corso, né
di particolare spessore. Si certificano un passato di “Professore
associato di Sociologia all’American University del Cairo” e “consulenze
in materia di cooperazione internazionale con organizzazioni quali
Unicef, Oxfam Novib e Danida”. Tra le sue pubblicazioni, figura un breve
saggio di 162 pagine dal titolo “Egypt’s Long Revolution” edito nel
2015 dalla piccola casa editrice Routledge. Nel suo presente, è appunto
un nuovo contratto a termine con l’università di Cambridge dopo un anno
trascorso tra il Regno Unito e l’Olanda in un sabbatico che è stato
l’occasione formale per sottrarsi ripetutamente alla richiesta della
Procura di Roma di deporre come teste nell’inchiesta sull’omicidio di
Giulio.
La Rahman, soprattutto, non ha mai voluto affrontare
quelli che, nella rogatoria inviata al Regno Unito, i magistrati romani
definiscono i «cinque punti su cui è di massimo interesse investigativo
fare chiarezza e relativi al dottorato di ricerca che ha portato Giulio
Regeni in Egitto dal settembre 2015». E che è utile elencare, quantomeno
nella sintesi che ne fa la Procura di Roma: «1) Chi ha scelto il tema
specifico della ricerca di Giulio; 2) Chi ha scelto la tutor che in
Egitto avrebbe seguito Giulio durante la sua ricerca al Cairo; 3) Chi ha
scelto e con quale modalità di studio la “Ricerca partecipata”; 4) Chi
ha definito le domande da porre agli ambulanti intervistati da Giulio
per la sua ricerca; 5) Se Giulio abbia consegnato alla professoressa
Abdel Rahman l’esito della sua ricerca partecipata durante un incontro
avvenuto al Cairo il 7 gennaio del 2016».
Già, la Rahman, che dei
cinque punti interrogativi custodisce le risposte, ha preferito sin qui
percorrere un’altra strada. Il 12 febbraio del 2016, a Fiumicello, nel
giorno dei funerali di Giulio, cui partecipa, si rifiuta, al contrario
di quanto fanno spontaneamente tutti gli amici del ragazzo, di
consegnare i suoi telefoni, i computer e tutti quei supporti informatici
che potrebbero consentire di isolare spunti investigativi. Si limita a
imbastire con il sostituto Sergio Colaiocco, che ne raccoglie il primo e
ultimo verbale di testimonianza, una storia “neutra”, ripulita di ogni
dettaglio o suggestione che consenta all’inchiesta, in quei giorni alle
sue primissime battute, di imboccare una qualche strada. Il racconto del
suo incontro accademico con Giulio, che si iscrive nell’ottobre del
2011 al master in Development studies di Cambridge, e che a Cambridge
torna nel 2014, dopo un’esperienza di lavoro alla “Oxford Analytica” e
all’Unido, è infatti di una disarmante genericità. «... Sono un’esperta
di economia egiziana, che è il mio settore — dice — . Per questo motivo
Giulio si è rivolto a me, perché univo esperienze sociologiche a quelle
economiche. Il primo anno del dottorato è incentrato su studi teorici
presso l’università. Il secondo anno è dedicato alla pratica, alla
ricerca sul campo e gli studenti si recano nel Paese sul quale stanno
svolgendo gli approfondimenti».
Non va meglio qualche mese dopo,
nel giugno 2016, quando, dopo essersi rifiutata di rispondere alle
domande in rogatoria del pm Colaiocco, per descrivere il percorso di
ricerca sul campo di Giulio al Cairo, la professoressa ritiene di
cavarsela con una e-mail alla Polizia del Cambridgeshire perché la
trasmetta alla Procura di Roma. «Giulio — scrive la Rahman — aveva
identificato la professoressa Rabab Al Mahdi presso il Dipartimento di
Scienze politiche dell’American University al Cairo come supervisore con
cui voleva lavorare. Io conoscevo la Rabab Al Mahdi e mi dissi
d’accordo perché ritenevo la proposta di Giulio appropriata ».
Insomma,
per la Rahman non c’è nulla da capire. Incontra a Cambridge Giulio e ne
diventa tutor in ragione delle sue competenze. Ne approva la “ricerca
partecipata”, che a suo dire non presenterebbe alcun profilo particolare
di rischio. Salvo omettere di chiarire se l’oggetto originario fosse
genericamente il mondo dei sindacati e non quello, specifico, dei
“sindacati indipendenti”, motore della ri-le volta di piazza Tharir.
Aggiunge, lo abbiamo visto, di averlo assecondato nella scelta al Cairo
della professoressa che avrebbe dovuto accompagnarlo nella sua ricerca
sul campo.
Le cose sono davvero andate così?
Non sembra
proprio. Giulio non chiede alla Maha la benedizione accademica di
proprie scelte. Piuttosto, le subisce. Scrivono i magistrati romani
nella loro rogatoria alle autorità britanniche: «Una conversazione
avvenuta sulla chat di Skype il 26 ottobre 2015 tra Regeni e le madre
Paola consente di sapere come Giulio viva le sue ricerche al Cairo e di
scoprire come fosse stata la professoressa Abdel Rahman a insistere
perché approfondisse il tema specifico della sua ricerca e con le
modalità partecipate». Dice Giulio alla madre: «Me stago addentrando nel
tema… E go de capir de più… Xe importante perché nesun ga fatto questo
prima… perché Maha insisteva che lo fasesi mi…». L’insistenza della Maha
sul tema della ricerca e la scelta di assegnargli come tutor al Cairo
la professoressa Rabab el Mahdi dell’American University, anch’essa con
un profilo più simile a quello di una attivista che non a quello di
un’accademica, è del resto oggetto anche delle confidenze di Giulio in
una chat con un suo amico e collega ( Repubblica ritiene opportuno
proteggerne l’identità) del 15 luglio 2015, cui esprime il timore che la
Maha abbia preso male i dubbi che aveva espresso sulla scelta della El
Mahdi quale sua tutor al Cairo e sui rischi che questo potesse
sovraesporlo. «... Ieri se semo trovai per decider la struttura del mio
report de fine anno e anche per discuter del nome del supervisor in
Egitto… Ela me ga proposto Rabab El Mahdi che xe una politologa egiziana
conosuda anche perché la xe una grande attivista… Mi go fatto il
codardo e ghe go ditto che ero un po’ preoccupà del fatto che la ga
molta visibilità in Egitto e no volesi esser tanto in primo piano… E la
xe rimasta mal… La mega ditto: finirà che dovremo metterte con
qualchidun che fa parte del Governo… Dopo sono tornà nel suo ufficio e
ghe go ditto che me andava ben el suo nome ma no la sembrava troppo
convinta…».
Giulio in queste chat estratte dalla memoria del suo
pc conferma dunque di essere un ricercatore, e nient’altro che un
ricercatore, la cui unica bussola è lo studio di un fenomeno sociale. Ma
conferma anche di essere tutt’altro che naif. Lo piega soltanto il
compromesso in nome dell’unica cosa che gli sta a cuore: l’accademia, la
sua ricerca, il suo lavoro per i quali dunque accetta di essere gelato
dalle scelte e dal sarcasmo della sua tutor: «Finirà che dobbiamo
metterti accanto qualcuno che fa parte del Governo…».
C’è qualcosa
di più a proposito delle reticenze di Maha. «Dalle indagini di questo
ufficio — scrivono nella rogatoria i magistrati della Procura di Roma —
emerge la determinazione della professoressa Abdel Raham nel richiedere
ai propri studenti interviste sul campo al Cairo per raccogliere
materiale di analisi sui sindacati autonomi (...) In particolare,
emergono le figure di alcuni studenti dell’università di Cambridge
inviati in Egitto per questo tipo di ricerca e allontanati dalle
autorità egiziane. In particolare lo stesso Giulio Regeni raccontava
agli amici di una sua collega di Cambridge che, mandata in Egitto l’anno
precedente per svolgere la sua stessa ricerca, era stata espulsa dal
paese e aveva dovuto ricorrere alle cure di uno psicologo per i traumi
riportati nell’esperienza egiziana».
Non è poco. E non è tutto.
C’è infatti un altro fotogramma degli ultimi giorni di vita di Giulio su
cui la Maha pattina. Vale a dire che fine abbiano fatto i dieci report
in cui Giulio aveva articolato il suo lavoro di ricerca sui sindacati
autonomi, di cui è rimasta copia nel suo pc, e che la Procura di Roma è
convinta Giulio abbia consegnato alla Maha il 7 gennaio del 2016 al
Cairo. Che è poi lo stesso giorno in cui l’ambulante Mohammed Abdallah
lo avrebbe filmato e registrato di nascosto con una telecamera e una
cimice fornite dalla National Security, il servizio segreto civile del
Regime.
Anche di quel 7 gennaio 2016 la Maha ha un ricordo opaco, a
suo dire irrilevante. Nella mail del 12 giugno 2016 alla polizia del
Cambridgeshire ammette infatti di aver incontrato Giulio ma ne omette la
ragione. «In un’occasione, nella seconda settimana di gennaio — scrive —
Giulio e io ci siamo visti al Cairo, ma è stato un incontro veloce. Ero
di passaggio per far visita ai miei familiari». Non c’è traccia della
consegna dei dieci report che Giulio — annotano i magistrati — «ha
redatto tra il 29 ottobre e il 18 dicembre 2016 dopo altrettanti
colloqui e pomeriggi passati con i rivenditori ambulanti». Non c’è
traccia nei ricordi della professoressa di quanto Giulio, al contrario,
scrive per mail alla madre Paola proprio quel 7 gennaio del 2016: «La
Maha xe sorpresa che go rivà a far cusì tanto in poco tempo. La ga ditto
de continuar e decider più nello specifico i temi de confronto tra i
due sindacati e de esplorar altre realtà sindacali per gaver un’idea el
più possibile complessiva». Altro che incontro fugace, dunque. Se Giulio
non mente, e non si vede perché dovrebbe in quella mail alla madre, la
consegna dei dieci report e il loro contenuto vengono discussi dalla
Maha, che ne è a tal punto soddisfatta da invitare Giulio a insistere.
Così
riscritto, il racconto del rapporto accademico tra Maha Abdel Rahman e
Giulio obbliga ora le autorità di governo inglesi e l’università di
Cambridge a una qualche mossa che li strappi alla palude di venti mesi
di silenzi e inerzia. E, per altro, di questo nuovo scenario comincia ad
aversi una qualche traccia. Come confermano a Repubblica qualificate
fonti diplomatiche, nelle settimane scorse il nostro ambasciatore a
Londra ha incontrato funzionari del Foreign Office britannico e un
rappresentante dell’università di Cambridge. Ne avrebbe ricavato un
generico impegno a dare corso alla rogatoria della Procura di Roma ma,
insieme, l’evidenza di un nodo ancora non sciolto. La professoressa Maha
Abdel Rahman, che ora è assistita da un avvocato, sembrerebbe ancora
convinta che possa esserci uno spazio per rilasciare «dichiarazioni
informali » alla nostra magistratura. Una soluzione impossibile perché
esclusa dal nostro codice di procedura penale e tuttavia indicativa, a
posteriori, di quanto imbarazzo, apparentemente incomprensibile, tenga
ancora prigioniera la professoressa e l’università di Cambridge sulle
ragioni e modalità della ricerca di Giulio. E ancora, per dirla con le
parole dei magistrati della Procura di Roma, «dei soggetti» che
avrebbero potuto usufruire del lavoro accademico di Giulio.
Lo
stesso imbarazzo che in questi 20 mesi ha finito per consentire che un
veleno intossicasse la memoria di Giulio, confondendo il suo amore per
la ricerca con inconfessabili, quanto falsi, interessi e attività di
soft power e intelligence per conto di governi stranieri. Una
circostanza di cui, una volta per tutte, gli stessi magistrati della
procura di Roma, fanno giustizia: «Allo stato — scrivono nella rogatoria
— è pacifico come non vi sia nessun elemento che autorizzi a ritenere
che Giulio Regeni avesse altri interessi lavorativi o attività nel Regno
unito che non fossero la sua attività di ricerca». È una verità che
riguarda Giulio e solo Giulio. E per questo e per il resto sin qui
ancora ignoto che ora tocca alla la professoressa Maha Mahfouz Abdel
Rahman. All’Università di Cambridge. Al Governo e alla magistratura
britannica.