mercoledì 29 novembre 2017

Repubblica 29.11.17
Lo Ius soli e il biotestamento
Quel vincolo diritto-vita
di Roberto Esposito

Il destino delle due leggi su Ius soli e biotestamento rischia di separarsi, lasciando la prima indietro e su un binario morto. Se ne capisce la ragione. Mentre sul biotestamento, anche dopo le coraggiose dichiarazioni di papa Francesco, l’opinione favorevole sembra ampia, sullo Ius soli pesa la cappa irrazionale costruita dagli imprenditori della paura. Eppure, mai come in questo caso, bisognerebbe tenere il punto. Non solo perché il cedimento avrebbe il sapore di una resa che metterebbe la parola fine alle residue speranze di riunire, se non subito almeno dopo le elezioni, i cocci sparsi della sinistra. Ma per un motivo più essenziale. E cioè perché, in una fase segnata dal crescente discredito nei confronti della politica, l’approvazione congiunta delle due leggi potrebbe acquisire il significato di un nuovo inizio. E anche di un nuovo modo di intendere la politica — non più come tattica strumentale alle alleanze, ma come decisione su contenuti concreti. E anzi sul più rilevante dei contenuti: la vita stessa di chi abita nel nostro Paese.
Quante volte si è detto che per riattivare il motore ingolfato della politica è necessario ridurne il tasso di astrattezza, radicandola nelle questioni vitali. E cosa c’è di più vitale che conferire uno statuto di uguaglianza ai bambini che già vivono tra noi, separati da una parete di diffidenza rispetto a chi può sentirsi italiano a tutti gli effetti? O restituire a ciascuno il diritto di interpretare liberamente quel momento decisivo della vita che è la morte? Le due leggi, collocate nella fase iniziale e finale dell’esistenza, rimandano l’una all’altra in una corrispondenza simbolica che non va rotta per calcolo politico. Naturalmente il calcolo delle conseguenze è necessario, ma entro certi termini, non sulle questioni di principio su cui si gioca l’identità della sinistra. E poi chi ha detto che un gesto di coraggio, spiegato e motivato, non paghi, aprendo una breccia nell’indifferenza che avvolge la politica? Esso servirebbe, se non altro, ad allargarne i confini, aprendoli ai tanti che hanno rinunciato non solo all’impegno militante, ma perfino al voto. Darebbe anima e corpo a qualcosa che è avvertito come una spoglia vuota.
Nel rapporto tra le due leggi c’è qualcosa di più che una semplice corrispondenza. C’è un nodo stretto, costitutivo della democrazia, che è quello che lega uguaglianza e libertà. Solo cittadini resi uguali dalla legge possono essere davvero liberi. E viceversa. Ciò vale di più quando ci si riferisce non solo al nomos, ma anche al bios. Non solo al diritto, ma anche alla vita. Immettere la forza del diritto nella vita concreta delle persone vuol dire sottrarla alla sua dimensione puramente biologica. Su cui, invece, la schiaccia il razzismo, antico e recente, di chi assume il corpo come luogo di discriminazione e di esclusione. Anche il cosiddetto Ius sanguinis resta dentro una cornice ancora biologistica della vita. Esso subordina la scelta della cittadinanza alla logica del sangue, facendo della discendenza una catena da cui non ci si può emancipare. Quando invece uno Ius soli, comprensivo dello Ius culturae, mette al centro la volontà soggettiva di far parte di una comunità, dopo un percorso di apprendimento portato a termine. Spezza il vincolo che fa della vita il luogo della necessità e la apre alla libertà e alla responsabilità. La libertà di scegliere un modello culturale. E la responsabilità di impegnarsi a rispettarne i valori fondativi.
Lo stesso nodo di libertà e responsabilità caratterizza la legge sul biotestamento. La vita, nel momento cruciale della sua fine, è sottratta alle maglie di una necessità che espropria il soggetto della possibilità di decidere cosa fare di se stesso. Si tratta di far prevalere la libertà su un destino prefissato. Certo, rispettando fino all’ultimo il valore della vita. Ma senza farne una gabbia inesorabile di dolore e sofferenza che può diventare peggio della morte.