Repubblica 24.11.17
Intervista a Susanna Camusso
“Caro Padoan non è di sinistra questa iniqua legge pensionistica”
di Roberto Mania
ROMA
«L’obiettivo di una sinistra di governo dovrebbe essere quello di
rimuovere le ineguaglianze, non di difendere un sistema previdenziale
iniquo piegato alla logica della sostenibilità finanziaria, la stessa
che ha prodotto danni sociali immani».
Susanna Camusso, segretaria
generale della Cgil, parla davvero un linguaggio diverso da quello del
ministro Pier Carlo Padoan che a Repubblica ha spiegato come le scelte
fatte sulle pensioni appartengono alla cultura di governo della sinistra
per garantire ai giovani il benessere attraverso la stabilità dei conti
pubblici. «E poi — insiste Camusso — questa contrapposizione
giovani-anziani s incomprensibile: ai giovani dobbiamo dare una pensione
dignitosa dopo averli condannati per anni alla precarietà. Da vent’anni
sono precari e non l’hanno scelto loro».
Resta il fatto che la
Cgil ha deciso di mobilitarsi per le pensioni, non per il lavoro ai
giovani. Di questo ha parlato il ministro Padoan.
«Guardi, questa
trattativa con il governo non riguardava le pensioni in essere. Anzi i
pensionati si lamentano perché dicono che ci occupiamo troppo poco delle
loro condizioni. Con il governo abbiamo aperto una vertenza che
riguarda il sistema pensionistico, e sono interessati i lavoratori
attuali e i giovani che ancora cercano lavoro.
È questa la nostra prospettiva».
Bene,
e allora perché dire no alla proposta del governo di escludere 15
categorie dall’aumento dell’età pensionabile a 67 anni nel 2019?
Non è stato un risultato anche dei sindacati?
«Veramente
il governo si era impegnato a correggere le iniquità del sistema
previdenziale disegnato dalla legge Fornero. Quell’impegno s rimasto
scritto sulla sabbia.
Permangono iniquità profonde in particolare
per le donne e per i giovani, che un meccanismo derogatorio non corregge
per nulla, per quanto migliori le condizioni di qualche migliaia di
lavoratori. Non si può mantenere un sistema che continua a inseguire la
crescita dell’aspettativa di vita e che progressivamente riduce anche
l’importo delle pensioni. Non ce l’ha nessun altro Paese al mondo. Si va
avanti senza fine, un inseguimento perenne. Non si può pensare di
andare in pensione a 70 e poi magari a 80 anni. Oppure con 45 anni di
versamenti contributivi. Per paradosso solo la morte può teoricamente
bloccare questo meccanismo».
Il meccanismo è stato attenuato e una
commissione studierà quali categorie di lavoratori potranno essere
esentate dall’aumento dell’età.
Non è un passo avanti?
«L’emendamento
presentato dal governo ha le stesse tabelle sull’aumento dell’età di
pensionamento che si avevano in precedenza. Le persone non ce la fanno,
si invecchia comunque anche se si vive più a lungo».
Il 2 dicembre
la Cgil scenderà in piazza per questo. Ma realisticamente cosa pensa di
ottenere da un Parlamento a fine legislatura, con una maggioranza
risicata al Senato, che dovrebbe modificare un testo del governo
condiviso dagli altri sindacati, Cisl e Uil? Mi dica un obiettivo
concreto.
«Il nostro messaggio s assolutamente chiaro: non consideriamo chiusa la vertenza sul sistema previdenziale.
Spiegheremo
a tutti i gruppi parlamentari perché quella soluzione non ci piace.
Cercheremo di convincere il maggior numero di parlamentari possibile e
continueremo la nostra battaglia».
Puntate al rinvio dell’aumento dell’età pensionabile?
«È un’ipotesi emersa anche in
Parlamento».
In questo contesto la vostra battaglia appare un po’ velleitaria. Non crede?
«Se
tutte le cose difficili fossero considerate impossibili ritorneremmo
all’800. Tutte le conquiste che hanno migliorato le condizioni dei
lavoratori, dalle otto ore in poi, sono state ritenute prima
inattuabili, poi le cose sono cambiate. Non chiediamo che alle persone
venga data una pensione alla nascita, ma la possibilità di un lavoro
dignitoso e poi di un periodo ragionevole di pensionamento».
Ma non è che il vero obiettivo della Cgil era quello di portare in piazza la sinistra-sinistra?
«Assolutamente
no. È stucchevole questa volontà di piegare tutto al contingente
politico. Se fosse questa la logica non avremmo dovuto firmare l’accordo
con Renzi sui contratti pubblici alla vigilia del referendum
costituzionale. Invece l’abbiamo fatto perché c’erano le ragioni
sindacali. Allo stesso modo non penso che le scelte di Cisl e Uil sulle
pensioni siano state dettate da una presunta vicinanza al Pd: hanno
detto, seppure con giudizi diversi tra loro, che erano d’accordo in base
a motivazioni sindacali».
Eppure è un fatto che tutta la sinistra che darà vita alla cosiddetta Cosa rossa sarà in piazza con la Cgil.
«Non sapevo neppure che si chiamasse Cosa rossa. Guardi che la Cgil non prende ordini da nessuno.
Successe
già nel 1956 quando Di Vittorio strappò con il Partito comunista
sull’invasione in Ungheria. Da sempre la Cgil s troppo grande per stare
in un partito. La nostra, ripeto, s una vertenza sindacale. Noi saremo
in piazza con i lavoratori e le lavoratrici, con i giovani e con i
pensionati. Come sempre s stato la nostra piazza s aperta a chiunque
voglia venire».
Ma perché non una manifestazione per il lavoro dei giovani?
«È
la Cgil ad aver presentato il Piano straordinario per l’occupazione
giovanile. È la Cgil ad aver elaborato la Carta dei diritti anche per
contrastare una precarietà in continuo aumento negli ultimi quattro
anni. È la Cgil che ha imposto al tavolo della trattativa di cercare
soluzioni previdenziali per i giovani, perché la previdenza s sempre più
una questione che li riguarda. La nostra mobilitazione non si ferma, la
moduleremo in base alle risposte che verranno dal Parlamento, visto che
fino a prova contraria la nostra s ancora una Repubblica parlamentare.
Avremo occasioni di discussione anche con i giovani, non derubricheremo
il tema. Ormai si contano le volte che la Cgil pronuncia la parola
giovani, forse se la politica fosse più attenta al lavoro, i giovani non
prenderebbero la valigia per andarsene».