Repubblica 21.11.17
Merkel e il prezzo del coraggio
di Angelo Bolaffi
CON
l’irresistibile inesorabilità tipica dei processi storici il fenomeno
di progressiva destabilizzazione che caratterizza oggi tutte le
democrazie europee ha raggiunto anche la Mitte, il centro del Vecchio
continente. E la vita politica tedesca è entrata, con la possibile fine
dell’era di Angela Merkel, in un’epoca di «nuova imperscrutabilità »,
per usare una celebre formulazione di Jürgen Habermas, di cui oggi è
molto difficile se non addirittura impossibile prevedere gli esiti. La
Germania da ieri, infatti, è ufficialmente entrata nella più grave crisi
politica da quando nel 1949 nacque quella che allora era la Repubblica
federale con capitale Bonn. È trascorso solo un anno ma sembra
appartenere a un passato lontanissimo il ricordo della visita di
commiato di Barack Obama a Berlino durante la quale l’ex presidente
americano aveva affidato alla Cancelliera Merkel, allora al culmine del
suo successo, alla Germania e con essa all’Europa continentale la difesa
dei valori dell’Occidente. Un compito che dagli anni della Seconda
guerra mondiale fino alla Brexit e all’elezione di Donald Trump era
stato riservato agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna.
Com’è stato
possibile che nel volgere di soli pochi mesi colei che era stata
definita “la donna più potente del mondo”, celebrata come la leader
“imprescindibile” del Vecchio continente sembra aver perso non solo
tutto il suo carisma ma financo la sua mitica abilità tattica e con essa
la capacità di mediazione per indicare la quale i commentatori avevano
coniato il termine di “merkelismo”? Un declino politico nonostante che
l’economia tedesca macini record su record e la stragrande maggioranza
della popolazione si dichiari largamente soddisfatta delle sue
condizioni di vita? All’origine c’è sicuramente un fisiologico processo
di logoramento che ha appannato le capacità di leadership di Merkel e al
tempo stesso provocato un crescente bisogno di novità e di cambiamento
nell’elettorato in un’epoca che consuma i leader politici nel volgere di
pochi mesi mentre Merkel è al potere da oltre un decennio.
Ma il
punto di svolta decisivo a unanime convinzione dei commentatori è stata
la coraggiosa, anche se da molti contestata e discussa, decisione di
quella “politica della accoglienza” che ha polarizzato l’opinione
pubblica tedesca e fatto saltare quel “consenso fondamentale” che aveva
costituito, al di là delle differenze partitiche, l’idem sentire
valoriale e spirituale della Germania del secondo dopoguerra. In
definitiva oggi Angela Merkel, come prima di lei tutti i Cancellieri che
hanno fatto la storia del dopoguerra tedesco, “paga” il coraggio di una
scelta strategicamente necessaria, storicamente ineluttabile ma
politicamente impopolare. Così era stato per Adenauer, accusato di
essere il “Cancelliere degli Alleati” per aver scelto l’opzione
filo-atlantica resistendo alle insidiose lusinghe pantedesche formulate
dall’Unione sovietica di Stalin. Così era stato per Brandt e la sua
Ostpolitik.
Per Kohl che ha pagato per aver “sacrificato”
l’amatissimo “marco tedesco” a favore dell’euro e dell’opzione
europeista e così anche per Gerhard Schröder che realizzando le riforme
economico-sociali della cosiddetta Agenda 2010 ha fatto della Germania
la potenza leader del Vecchio continente. Ma ha al tempo stesso proprio
per questo perso nel 2005 le elezioni e forse condannato la Spd a un
declino inesorabile.
La polarizzazione politico-spirituale
provocata dal famoso “noi ce la faremo” pronunziato da Merkel a favore
dell’apertura dei confini tedeschi per dare accoglienza ai profughi
provenienti dalla rotta balcanica, una scelta in sostanza mai rinnegata
da Merkel convinta che l’immigrazione sia il destino futuro di un Paese
in grave declino demografico, si è riverberata in una pluralizzazione
del sistema dei partiti che ha reso molto più difficile trovare un punto
di mediazione tra spinte che in questo momento appaiono troppo
contraddittorie.
E tuttavia prima di emettere una sentenza
definitiva sul destino futuro di Angela Merkel sarebbe consigliabile un
esercizio di ragionevole cautela anche perché il percorso che dovrebbe
condurre a nuove elezioni è molto tortuoso dovendo superare molti
ostacoli di natura politico-istituzionale che il costituente tedesco
dopo la catastrofe di Weimar ha introdotto al fine di difendere quel
bene supremo che per la Germania è la governabilità. Per questo appare
molto discutibile e affrettata la gioiosa euforia di chi a sinistra come
Wolfgang Streeck, l’implacabile avversario di Merkel, nei giorni scorsi
ne ha recitato il de profundis: «L’era Merkel si avvia alla fine» ha
scritto in un saggio pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung il
sociologo formatosi nel segno della Scuola di Francoforte, «e questo è
un bene. Lentamente la politica e l’opinione pubblica tedesche si
risvegliano dalla loro narcosi post-democratica». L’uscita di scena di
Angela Merkel segnerà sicuramente un “ritorno della politica” in
Germania: ma non è detto che questo avvenga nel segno auspicato dal
sociologo francofortese.