il manifesto 21.11.17
Falliscono i colloqui, il modello tedesco è senza maggioranza
Germania.
L’intesa Giamaica muore dopo sessanta giorni di negoziati. Al via
consultazioni bis, mentre si prefigurano tre possibilità: un governo di
minoranza appoggiato da Fdp e Verdi, ma Merkel ha già detto no; Grosse
Koalition, ma l’Spd è indisponibile; oppure nuove elezioni tra marzo e
aprile 2018
di Sebastiano Canetta
BERLINO Fine
prematura della Giamaica sognata da Angela Merkel. Due mesi dopo il voto
federale i liberali rovesciano il tavolo delle trattative con Verdi e
democristiani.
Per la prima volta dal 1949, in Germania si profila
il governo di minoranza Cdu-Csu con appoggio esterno: unica alternativa
al ritorno anticipato alle urne.
A meno che non vada in porto il
secondo giro di consultazioni imposto dal presidente della Repubblica, o
si sblocchi il «nein» socialista a resuscitare il fantasma della Grande
coalizione.
Si apre così un capitolo inedito nella politica
tedesca, e si consuma la clamorosa sconfitta della cancelliera, incapace
di trovare la quadra del quarto mandato nei modi stabiliti ed entro i
tempi promessi. Ma è anche rottura improvvisa del “cerchio” politico
immaginato da Verdi e bavaresi, obbligato dalla scelta degli elettori.
«Manca
la fiducia: piuttosto che governare male, meglio non governare affatto»
scandisce il leader Fdp Christian Lindner, archiviando così sessanta
giorni di negoziati sterili.
«Mi spiace: ero convinta di riuscire a
tirare il filo della soluzione. Domenica eravamo vicini a celebrare una
giornata storica. Tuttavia, preferisco tornare a votare piuttosto che
varare un governo di minoranza» replica – delusa e sorpresa – Merkel a
mezzogiorno, prima di varcare la soglia del castello di Bellevue e
ufficializzare la crisi di fronte a Frank-Walter Steinmeier.
Un’ora
dopo il presidente federale esterna il monito rivolto all’intero arco
del Bundestag: «Mi attendo che tutti i partiti collaborino alla
formazione del nuovo governo. La responsabilità non può essere
semplicemente girata agli elettori» avverte, spegnendo così la via del
ritorno alle urne. Via alle consultazioni-bis dunque, aspettando «il
parere degli altri organi costituzionali» ma anche tenendo conto che
l’Spd (il suo partito) non sarebbe contraria a nuove elezioni.
«Peccato,
all’intesa mancava veramente poco» spiega la co-segretaria dei Verdi
Kathrin Goering-Eckardt, amareggiata quanto la cancelliera ma egualmente
indisponibile a garantirle l’eventuale appoggio esterno.
Il muro
alzato dai liberali rimane invalicabile e l’abbandono dei negoziati una
mossa apparentemente irreversibile. Anche uno sgarbo istituzionale agli
ex partner politici, maldigerito in primis dalla vice-Merkel Julia
Klöckner. «Sarebbe stato corretto lasciare che ad annunciare il
fallimento fossero i rappresentanti dei tre partiti» twitta la numero
due della Cdu. Fa il paio con il “tradimento” politico della geometria
disegnata delle elezioni del 24 settembre denunciato dal co-leader
Grünen Cem Özdemir: «Fdp ha respinto la sola alleanza democratica uscita
dalle urne».
Ciò nonostante, Merkel non sembra intenzionata a
mollare. «Anche in tempi difficili come questi la Cdu si assume la
propria responsabilità» precisa, ma è già un sintomo che abbia smesso di
parlare in prima persona. La linea s’impone da dieci minuti dopo la
mezzanotte di domenica quando Lindner ha abbandonato l’Associazione
parlamentare, sede del negoziato Giamaica.
Di sicuro, fin da oggi
la cancelliera tenterà di riportare in extremis i liberali dentro il
recinto delle trattative, in mancanza di alternative realmente
praticabili. Ieri i socialdemocratici di Martin Schulz hanno ribadito di
non volere fungere da “stampella” al quarto gabinetto-Merkel,
ricordando la bocciatura della Grande coalizione dei loro elettori.
Anche se in realtà gli sherpa Spd continuano a tenere aperta qualunque
ipotesi.
Comunque, nonostante le dichiarazioni bipartisan, a
Berlino terrorizza il ritorno al voto già nella prossima primavera: le
urne anticipate rischiano di gonfiare il “boom” dell’ultra-destra di
Alternative für Deutschland e dare il colpo di grazia ai partiti
tradizionali. Senza contare che un nuovo risultato non garantirebbe, di
per sé, governabilità maggiore dell’attuale.
Un bel ginepraio per
la cancelliera Merkel cui rimangono solo tre possibilità teoriche, una
più scivolosa dell’altra. Governo monocolore sorretto dai 246 deputati
dell’Union e appoggiato dagli 80 parlamentari Fdp o dai 67 Verdi –
ipotesi da lei scartata a priori – o Grosse Koalition con l’Spd che
godrebbe di 44 seggi oltre la soglia minima ma non della benedizione di
Schulz; oppure nuove elezioni tra marzo e aprile 2018.
Sempre che
Mutti non riesca a convincere Lindner a risedersi intorno al tavolo
giamaicano o abbia seguito il disperato appello alla “salvezza
nazionale” lanciato ai socialdemocratici dal leader Csu Horst Seehofer.
«La
loro decisione di non volere discutere l’alleanza con noi non tiene
conto della responsabilità di fronte al Paese. Non voglio rinunciare
alla speranza: un governo di minoranza avrebbe vita breve, perciò
dobbiamo invitare subito l’Spd ai colloqui» spiega il governatore della
Baviera. Confidando nel passo a lato di Schulz più che in quello
indietro di Lindner.