martedì 21 novembre 2017

Il Fatto 21.11.17
La missione di Prodi è già finita: sull’art.18 il Pd snobba Mdp
L’ex premier abdica subito. L’ultimo strappo alla Camera sulle modifiche al Jobs act: in aula solo 5 deputati dem
di Tommaso Rodano

L’ultimo simulacro evocato dai giornali per teorizzare l’alleanza impossibile tra il partito di Renzi e il partito degli antirenziani si chiama Romano Prodi. Malgrado tutto, l’alleanza elettorale tra Pd e Mdp non si farà: le missioni del pontiere Piero Fassino e i moniti quasi quotidiani di Walter Veltroni sono caduti nel vuoto. Il nuovo protagonismo del Professore dell’Ulivo, invece, è un’esagerazione giornalistica. È vero che Prodi ha fatto un tentativo per far incontrare i litiganti, ma più per senso di responsabilità che per reale convinzione: gli universi che ruotano attorno a Renzi e Bersani rimarranno distanti. E Prodi – dopo aver mostrato di averci provato – tornerà a osservarli da debita distanza: non ha intenzione di ri-spostare la sua famigerata tenda nel campo del Pd, né di farsi usare ancora come “Vinavil” per ricomporre pezzi in frantumi.
In questo senso, i prodiani in Parlamento – come Sandra Zampa e Franco Monaco – sono ancora più prodiani di lui (e in certi casi il loro zelo è dettato dalla legittima aspirazione alla ricandidatura). Così si assiste a spettacoli paradossali. Domenica sera Monaco detta alle agenzie un comunicato pieno di speranza, in cui parla di “nuovo Ulivo”: “Nei colloqui con Prodi, Pisapia e Fassino, ho proposto di affiancare al Pd una lista che dia corpo a un rassemblement pluralistico. Una sorta di nuovo Ulivo che sigli col Pd un accordo politico, ma in un rapporto di competizione emulativo. L’auspicio di Prodi è che a questa ipotesi possano aderire anche gli amici di Mdp, Sinistra italiana e Possibile”. Dopo un paio d’ore però il prodiano Monaco viene smentito dal prodiano Prodi: “Non vi sarà nessuna lista intestata a Romano Prodi o all’Ulivo”.
Insomma, a sinistra il quadro resta fermo. Renzi dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, incassare l’appoggio di Emma Bonino e Giuliano Pisapia, ma alla sua sinistra i ponti sono saltati. Formule, strategie e alleanze ipotizzate sui giornali non trovano alcun riscontro sul campo dei programmi e della politica concreta.
L’immagine plastica l’ha offerta l’aula di Montecitorio ieri pomeriggio. Si discuteva la proposta di legge presentata da Mdp e Sinistra italiana per il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella sua forma pre Jobs Act: quella che prevedeva il diritto al reintegro per chi viene licenziato ingiustamente.
È una delle principali condizioni stabilite dalla sinistra per ipotizzare la ripresa del dialogo con il Pd renziano, ma in Aula non c’era nessuno. Appena cinque parlamentari dem: Irene Manzi, Marco Miccoli, Titti Di Salvo, Andrea Martella e Cesare Damiano. Il Pd d’altro canto non ha alcuna intenzione di discutere nel merito della legge: sarà rinviata in commissione con parere negativo.
“L’Articolo 18 non è argomento telefonico, ma politico”, ironizza Civati. “Si dice che reintrodurlo ci riporti agli anni 70 del secolo scorso. Ma non averlo ci riporta all’Ottocento”. Le chiamate di Fassino, insomma, sono ancora più inutili, alla luce della completa assenza di un punto d’incontro sui fatti concreti. L’incontro ci sarà, ma non avrà conseguenze.
Mdp e Sinistra italiana oggi pomeriggio al Senato presentano i propri emendamenti congiunti alla legge di Bilancio. Il percorso che porta alla presentazione della lista unica è tracciato: questo fine settimana ci sono le 100 assemblee provinciali per eleggere i delegati della “costituente” del 3 dicembre, quando il presidente del Senato Pietro Grasso dovrebbe pronunciare il suo primo discorso da leader della sinistra.