Repubblica 21.11.17
Quei fascisti alla riscossa
di Massimo Riva
È
FASCISMO. Il grido d’allarme lanciato da un indomito combattente per la
libertà come Lech Walesa, nella bella intervista che gli ha fatto
Andrea Tarquini nei giorni scorsi, va preso sul serio, molto sul serio.
Sarà che in Polonia l’onda antieuropea sta mostrando il suo volto più
nero come s’è visto nella recente manifestazione di piazza a Varsavia,
dove al risaputo vocabolario patriottardo si sono sovrapposte perfino
atroci invettive antisemite. Ma sarebbe un grosso errore di valutazione
considerare quello polacco un caso a parte. In realtà, esso rappresenta
solo la punta più avanzata e visibile di un fenomeno socio-politico che
riguarda, seppure in forme diverse, l’intera Unione.
La sconfitta
di Marine Le Pen in Francia e il mancato sfondamento elettorale dei
razzisti olandesi avevano fatto tirare un sospiro di sollievo. Ma è
stata un’illusione fugace. Ora nel nuovo Bundestag tedesco è tornata
prepotente la presenza di parlamentari che non fanno mistero di
richiamarsi al truce passato nazista, mentre in Austria la destra
xenofoba ha raccolto valanghe di voti. Certo, a Est le nostalgie per le
dittature militari di Pilsudski a Varsavia e di Horthy a Budapest sono
esplicite, mentre a Ovest le pulsioni autoritarie sono più dissimulate
ma non per questo meno preoccupanti, anche in Italia. Dove non sono
ricomparsi manganelli e olio di ricino, ma il loro posto è stato preso
da una torsione diffusa del linguaggio politico verso quella miscela di
risolutezza e di volgarità che è connaturata al metodo fascista. Può
pure darsi che non siano del tutto consapevoli di questa china
pericolosa né Grillo quando urla il suo «Vaffa» né Berlusconi quando
rievoca il mussoliniano «Credere, obbedire, combattere». Ma è un fatto
che anche così si spargono i semi del nuovo fascismo perché, come si sa,
le parole possono fare perfino più danni delle pietre.
Che la
costruzione dell’unità europea fosse un progetto impervio e non lineare
lo si sapeva fin dall’inizio. E, dunque, non c’è da stupirsi che i
contrasti più aspri emergano ora quando il cammino ha già raggiunto
primi e fondamentali obiettivi quali un mercato e una moneta unici. Ma a
spaventare è la connotazione politica che sta assumendo oggi
l’antieuropeismo mettendo assieme sentimenti xenofobi e razzisti con
rivendicazioni nazional-sovraniste e allettamenti demagogici. Quel che
si può definire, insomma, un estratto dal manuale del perfetto fascista.
E che rappresenta perciò la negazione in radice del progetto unitario, a
suo tempo concepito proprio al fine di seppellire una volta per tutte
quelle bramosie scioviniste che hanno insanguinato per secoli il
continente.
C’è poi poco da illudersi che il demone fascista
denunciato da Walesa possa essere messo fuori corso dalla storia in
un’era di globalizzazione economica mondiale. Anche perché dalla sponda
americana e da quella russa sia Trump sia Putin, con fini diversi ma
convergenti, mirano alla disgregazione del disegno europeo. Tocca,
dunque, agli europei salvarsi da se stessi. E qui si tocca la nota più
dolente: a non riconoscere la gravità della minaccia fino a rifiutarsi
di chiamarla col suo vero nome — fascismo — sono quelle forze politiche
democratiche e riformiste che ancora governano i maggiori Paesi
dell’Unione. Tragica replica degli errori degli anni Trenta.