Repubblica 19.11.17
Anche Franceschini chiama il presidente del Senato per chiedergli di non correre contro i dem
E lui: “Non farò una Cosa rossa”
Prodi incontra Renzi e fa pressing su Grasso L’obiettivo finale è il ritorno di Bersani
di Tommaso Ciriaco
ROMA.
La svolta sta tutta nell’assillo che è tornato a tormentarlo da qualche
giorno. «Non vorrei vedere il centrosinistra naufragare - confida
Romano Prodi -Vorrei evitare che finisca così». Adesso il Professore è
di nuovo in campo. Sonda, riservatamente. Ascolta e propone. Incontra
Matteo Renzi. Gioca di sponda con Piero Fassino, spingendosi alla soglia
di Mdp, là dove finora nessuno era riuscito ad arrivare. E telefona,
tanto. Soltanto nelle ultime quarantotto ore, a Giuliano Pisapia e Piero
Grasso. Tutto, improvvisamente, si rimette in movimento.
L’operazione,
almeno in questa fase, è prevalentemente “sotto copertura”. Troppe
volte l’ex premier ha chiesto unità e ragionevolezza. Troppe volte è
rimasto deluso, spesso proprio da chi ha il massimo delle
responsabilità: Renzi. Però proprio durante il faccia a faccia con il
segretario dem qualcosa di positivo accade. E infatti il fondatore
dell’Ulivo dà il via alla fase due contattando Grasso, il potenziale
leader della galassia di sinistra.
A dire il vero la paternità
della prima mossa appartiene a Dario Franceschini. È venerdì quando il
ministro dei Beni culturali contatta la seconda carica dello Stato.
Vuole sondarne gli umori, capire, proporre un disarmo. Preparare,
soprattutto, il terreno all’operazione prodiana. Ne riceve risposte
formali, riferiscono, ma anche una generica promessa che si può tradurre
così: «Non farò il capo di una minoritaria ridotta di sinistra, né
guiderò una Cosa rossa». La vera novità, però, si consuma nella
telefonata tra Prodi e Grasso. Il contatto, è evidente, segna un salto
di livello nella trattativa. Ed è l’indizio più forte di un pressing in
corso, dall’esito per nulla scontato.
Tutto è naturalmente appeso a
un filo, come le intenzioni del presidente del Senato. Ma è chiaro che
il “movimentismo” discreto del Professore rende assai più complicato per
Mdp far saltare i ponti della trattativa. E rappresenta la premessa
della mossa successiva. Nessuno lo ammette apertamente, ma la verità è
che l’altro bersaglio dell’incursione di Prodi nel campo degli
scissionisti ex dem è Pierluigi Bersani. Tra i due il rapporto,
nonostante tutto, resta ragionevole. Per questo, la tappa finale della
fase due dovrà essere proprio un incontro tra il Professore e l’ex
segretario dem.
Per adesso, comunque, l’imperativo è muoversi con
discrezione. Anzi sott’acqua, perché i veleni della scissione hanno reso
impraticabile il terreno di gioco. Allo scoperto escono invece alcuni
prodiani storici. Franco Monaco teorizza apertamente una lista ulivista.
Giulio Santagata - assieme a Pisapia e Bruno Tabacci - raduna oggi a
Bologna una “coalizione di volenterosi” che non si arrende alla
divisione. Arturo Parisi ha ammorbidito le sue posizioni. Fuori dal
campo prodiano, poi, un ruolo decisivo lo gioca Fassino, col suo impegno
quasi ossessivo per smuovere le acque stagnanti del centrosinistra.
«Dopo l’incontro con Pisapia - assicura - siamo di fronte a un passo
decisivo per la coalizione ». Durante la riunione si era spinto anche
oltre: «Ci siamo, nei contenuti e anche nella richiesta del “garante”.
Ora ho bisogno di parlare con Renzi, ma sono ottimista, vedrete...».
L’ex
sindaco di Milano è l’altro tassello decisivo del puzzle. Dopo aver
quasi abbandonato la speranza di ripartire con il Pd, ed aver valutato
seriamente la possibilità di ritirarsi per lasciare i suoi alle sirene
di Mdp, adesso sorride alle novità. Certo, faccia a faccia con Fassino
alza l’asticella, chiede un tavolo su cui definire l’accordo
programmatico, invita a scegliere il Professore come garante del
riavvicinamento. «Restano alcuni ostacoli - giura a sera Massimigliano
Smeriglio di Campo progressista - e sarà decisivo il ruolo di Prodi ».
Ma è chiaro che a quelle latitudini una nuova fase si è già aperta.
Renzi
osserva, cauto. Non è certo lo scenario che aveva in mente soltanto
qualche mese fa, ma fa di necessità virtù. La “tregua” proposta da Paolo
Gentiloni sul fronte sindacale smorza almeno in parte il braccio di
ferro con la Cgil e toglie qualche argomento all’ala sinistra. Il resto
sta tutto nella coalizione larga di cui ha bisogno: «La scelta di
Fassino si è rivelata utile. Il 30% in tutti i collegi è a portata di
mano». Il leader di Rignano non crede ovviamente all’intesa con Massimo
D’Alema, ma pensa che il fronte sinistro alleato del Pd sarà comunque
più affollato del previsto. Per questo, cavalca l’impegno prodiano. E
aspetta che Walter Veltroni, l’altro padre nobile che si è rimesso in
movimento, porti buoni frutti alla causa.
Restano alcuni nodi,
ovviamente. Uno, emerso con prepotenza nelle ultime ore, riguarda i veti
incrociati tra potenziali alleati. E in particolare quelli che da Campo
progressista sono diretti contro Angelino Alfano. Per mediare, è
toccato a Lorenzo Guerini telefonare al ministro degli Esteri. A lui ha
ripetuto il senso delle parole pronunciate due giorni fa ai colleghi dem
alla Camera: «Ma scusate, manca poco che Berlusconi si allei con
CasaPound e noi ci incasiniamo con i veti su Angelino?».