Repubblica 15.11.17
Se questo è un uomo
Quei migranti in esilio ridotti in schiavitù ci riguardano
di Marco Belpoliti
VOI
che vivete sicuri/ Nelle vostre tiepide case/ Voi che trovate tornando a
sera/ Il cibo caldo e visi amici:/ Considerate se questo è un uomo». Un
uomo di colore, un nero, venduto a 400 dollari. Uno schiavo, come
all’epoca degli antichi imperi. Oggi anche questo diventa possibile. Il
video della Cnn ci mette davanti agli occhi un doppio abominio. L’uomo
venduto come in un mercato e la sua pelle scura. La schiavitù che è
stata abolita nel mondo moderno, che è costata morte, dolore,
sofferenze, sembra ritornata. Nel video non si riesce a scorgere con
nettezza lo sguardo di questo uomo, tuttavia si coglie come una
rassegnazione dipinta sul suo viso, una passività che fa di questo
intollerabile spettacolo qualcosa di insopportabile.
DI LÀ dal
mare che bagna le nostre coste, non lontano da noi, appena più a sud del
mondo cosiddetto civilizzato, la guerra, i conflitti tribali e
religiosi riportano d’attualità un costume obbrobrioso che credevamo
cancellato. Tutto questo ci riguarda direttamente, non è remoto, non è
uno scherzo della storia. Chi ha visitato il National Museum of African
American History and Culture di Washington sa cosa ha significato per
milioni di donne e uomini africani la tragedia della deportazione e
della schiavitù. La traversata dell’Oceano dentro le mefitiche stive dei
negrieri, l’approdo e il lavoro forzato. Là nell’architettura che imita
quella di un canestro rovesciato, che scende a vari metri sotto il
livello del suolo, dentro il cuore del museo, ci sono raccolti i poveri
oggetti, i ritratti, le memorie di questi schiavi su cui si è costruito
l’impero del cotone, ma anche quello del caffè e del tè, dei beni
voluttuari e degli indumenti utilizzati dall’America e dall’Europa. E
ancora non sono trascorsi cento anni che un’altra deportazione ha dato
vita al sogno folle di un dittatore paranoico nel cuore dell’Europa, che
ha trasformato in schiavi intere popolazioni, avversari politici e
prigionieri di guerra. Bisogna guardare queste immagini per capire che
non è solo una vicinanza fisica — le coste della Libia — ma anche una
vicinanza morale che fa sì che questi stranieri, migranti in esilio
dalla propria terra, ridotti in schiavitù, misera gente nelle mani di
uomini senza scrupoli, ci riguardano direttamente. In Europa si è
diffusa da qualche anno un’infezione latente per cui « ogni straniero è
nemico » , come scriveva Primo Levi nella premessa del suo libro nel
1947. Una convinzione che « si manifesta solo in atti saltuari e
incoordinati » e che non sembra stare « all’origine di un sistema di
pensiero » . Ma quando questo accade, ci ammonisce Levi, al termine
della catena c’è il Lager.
Sono uomini come noi, uomini identici a
noi. Non è tollerabile che questo sia il loro destino: « Meditate che
questo è stato: Vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore »
. Sì, questo è un uomo.