lunedì 13 novembre 2017

Repubblica 13.11.17
Oltre la piazza un altro popolo che non si sente oscurantista
di Wlodek Goldkorn

PRIMA di trovare la morte nell’incidente areo su Smolensk nell’aprile 2010, Lech Kaczynski, l’allora presidente di Polonia e fratello gemello di Jaroslaw, l’uomo che governa il Paese pur essendo ufficialmente solo un semplice deputato, prima insomma di perire sui cieli della Russia, Lech Kaczynski aveva impostato la sua campagna per la rielezione alla carica del capo dello Stato cercando di assomigliare a Michal Wolodyjowski. Wolodyjowski è il protagonista dell’omonimo romanzo di Henryk Sienkiewicz (l’autore di Quo vadis); cavaliere senza macchia, patriota e vero cattolico, combatte contro i turchi musulmani. Disgustato per il caos che regna a Varsavia (causato dal predominio degli stranieri e dalla troppa tolleranza nei confronti degli eretici e degli ebrei) si fa saltare per aria nella Rocca di Podolia, assediata dalle truppe ottomane, nell’anno del Signore 1672. Polonia antemurale della cristianità, un cliché tanto amato fin dai tempi di papa Wojtyla e di Solidarnosc, nasce assieme ai romanzi di Sienkiewicz e all’epopea della guerra di confine con la Turchia. E anche l’immagine del musulmano subdolo, traditore, stupratore feroce, non nasce con la crisi degli immigrati oggi, ma ha le sue origini in quella letteratura che ogni bambino sulle rive del Vistola studia a scuola.
Qui in Occidente e in Italia siamo abituati a considerare la parola cattolico, sinonimo di polacco. E pensiamo a un Paese devoto alla Madonna di Czestochowa che il giorno dopo Natale del 1655 aiutò a sconfiggere gli invasori svedesi protestanti e così fu proclamata Regina di Polonia. Questa convinzione si rafforza quando vediamo fascisti marciare per le strade di Varsavia e delle altre città, inneggiando a un Patria tutta bianca, senza eretici né ebrei e (Dio ce ne guardi) neri e islamici. Ma la Polonia non è mai stata tutta cattolica. Anzi, fino dalla fine del Settecento era spaccata tra due tradizioni politiche e culturali opposte, non senza spargimenti di sangue. Ancora un esempio; vero e non frutto di letteratura. Il primo capo di Stato eletto nel 1922 quattro anni dopo la rinascita della Polonia indipendente, Gabriel Narutowicz, venne assassinato da un nazionalista cattolico fanatico, pochi giorni dopo aver prestato il giuramento. La storia del Paese è quindi una storia di guerra civile vera e simulata. La colpa di Narutowicz? Fu eletto con voti determinanti dei deputati dei partiti delle minoranze nazionali: ebrei, tedeschi, ucraini. Non era, insomma, un “presidente dei polacchi”.
Come allora, anche oggi, alla gretta ideologia dell’identità etnico religiosa, appoggiata da gran parte della Chiesa (con lodevoli e significative eccezioni) si oppone una visione di nazione formatasi con la partecipazione di diverse culture, pluriconfessionale, socialisteggiante, tesa verso l’Europa e il Mediterraneo. C’è una gran parte del Paese che non condivide il culto di Giovanni Paolo II; che considera Walesa un bravo nonno della Patria ma non si riconosce nell’immagine della Madonna nel bavero della sua giacca; una generazione nata e cresciuta in libertà e che la vecchia retorica di Solidarnosc non la riconosce come sua. Una generazione per cui Kaczynski non è traditore degli ideali di Solidarnosc, appunto, ma il degno continuatore della peggior tradizione oscurantista vecchia di duecento anni e tornata in superficie. È una Polonia in questi giorni spaventata, ma che molto presto rialzerà la testa, perché ha un’altra, altrettanto antica e radicate tradizione: laica e multiculturale a disposizione. Altro che Polonia antemurale della cristianità.