Repubblica 13.11.17
Il villano quotidiano e le molestate ignote
di Natalia Aspesi
PARE
che a non poterne più di questa quotidiana tempesta a puntate di
molestatori (non stupratori) di donne in vista, siano soprattutto le
donne ignote: molestate ieri o cinquant’anni fa (secondo una ricerca
Istat ogni anno in Italia una donna su tre viene molestata e se ne sta
zitta) non contano nulla perché le villanate non sono venute da una
celebrità e quindi ghiotte per tutti, ma dal ragioniere vicino di casa,
dal matematico incontrato in ascensore, dal marito dell’amica più cara:
dai signori xxx che certo non interessano a nessuno, e se decenni fa ci
si scansava vergognandosi, adesso gli si può dare un calcio là e finisce
lì, tra gemiti terrorizzati (di lui).
Un molestatore (non un
violentatore) soprattutto se affascinante e potente in ogni campo,
potrebbe essere un don Giovanni che ottiene ciò che vuole, o che è
costretto a dare ciò che le signore vogliono (se non ha di quelle mogli
che non lo mollano un secondo, come certi registi o certi direttori
d’orchestra). Allora perché molestano? Perché è un esercizio di potere
in un campo, quello dei sessi, che hanno perduto, perché sanno di
umiliare, perché possono ricattare, perché alla fine sono fragili,
insicuri e delle donne, le loro donne, hanno paura. Però è necessario
anche un minimo di buon senso, non creando una classe specifica di
molestatori (non stupratori) composta solo di privilegiati, né
trasformando ogni uomo in un criminale, un serial rapist.
A
sentire le molestate denuncianti, questi molestatori (non stupratori)
una volta le hanno toccato il ginocchio, un’altra hanno aperto la patta,
un’altra ancora hanno fatto versacci con la lingua (risposte eleganti,
non mi rompa le calze, non gli faccia prender freddo, pare proprio il
mio cagnolino Billy). Certo molestie, ma forse solo anche citrullaggini,
goliardate (non stupri), certo più colpevoli quando imposte da persone a
cui si potrebbe pure dire no grazie, ma a cui non sempre non ci si può
sottrarre, non solo per debolezza. Uno degli ultimi casi denunciati,
quello del comico americano di massimo successo Louis C.K. che in scena
fa ridere parlando di masturbazione poi appena può chiede alle signore,
da gentiluomo sessuomane, il permesso di farlo davanti a loro, è
soprattutto un problema psichiatrico.
Non si denunciano subito
potenti molestatori (talvolta anche gli stupratori), ma neppure gli
ignoti: allora bisogna anche dire che il concetto di harassment, di
molestia (non di stupro), è piuttosto recente; chi, almeno in Italia,
avrebbe potuto pensare di denunciare un esibizionista o un pizzicottaro,
appunto un molestatore, quando persino sul reato di stupro i nostri
governi non riuscivano a trovare un accordo? Una sentenza della
Cassazione del 1967 definiva non violenza “quella necessaria a vincere
la naturale ritrosia femminile”. Ancora negli anni ’80 la legge riteneva
lo stupro un atto contro la morale e non contro la persona, nell’82 il
tribunale di Bolzano stabiliva che non si poteva evitare qualche
iniziale atto di forza o di violenza, “dato che la donna soprattutto fra
la popolazione di bassa estrazione sociale e scarso livello culturale
vuole essere conquistata anche in maniera rude, magari per crearsi una
sorta di alibi al cedimento del desiderio dell’uomo”.
Nel 1985 il
tribunale di Roma cancellò il “debito coniugale” cioè l’obbligo della
moglie a non rifiutarsi, stabilendo la necessità, nel sesso, del
“consenso di entrambi”. Ricordo i primi processi di stupro a Milano, in
cui la colpevole era sempre la donna, in quanto “già fidanzata”, cioè
non più vergine quindi priva di valore e già puttana (come se le
professioniste del sesso non avessero il diritto al no), oppure perché
tornava dal lavoro di notte, oppure perché era vistosa. Come poteva il
povero giovane trattenersi? E come lo difendevano le madri contro quella
schifosa!
Purtroppo non mi ricordo i nomi dei protagonisti di un
celebre processo milanese: una bellissima studentessa diciottenne accusò
un suo professore che era andato a casa sua per ragioni di studio, di
averla forzata al sesso. L’antico difensore che pareva quello del
processo a Frine, interpretata da Gina Lollobrigida nell’episodio
diretto da De Sica nel film “Altri tempi”, accusò di ogni misfatto la
ragazza, ma già vegliavano le femministe, i giudici stabilirono che il
no si può dire anche all’ultimo momento, le mutande già strappate, e il
povero professore, tra l’altro di un certo fascino, fu giudicato
colpevole e condannato a qualche anno di galera. Ora lo stupro, reato
perseguibile d’ufficio, viene punito con giusta durezza. Anche le
molestie ovvio: negli Stati Uniti basta uno sguardo birichino per fare
causa all’incauto, da noi qualcosa di più concreto, se denunciato, mi
pare, entro un certo lasso di tempo.
Domanda: e le molestie sul
web, e la farraginosa ricerca di sesso o d’amore, da parte di uomini e
di donne, con esplicite porcherie nei siti, e gli incontri che non sono
né molestie né violenze, e le tante trentenni che tutte insieme, senza
un ragazzo, se la ridono nei ristoranti o se la godono al cinema, donne
sole e felici, farebbero causa a un collega che osasse corteggiarle
anche rusticamente, spiritosamente, non perché irrispettoso ma perché
ormai terrorizzato?