Repubblica 13.11.17
Bernard Guetta.
L’ex corrispondente da Varsavia: “Poco da sorprendersi, in Polonia il nazionalismo non è mai morto”
“Al di là della retorica c’è un conflitto culturale con le nostre democrazie”
di Anais Ginori
PARIGI.
«Pessimista? Non direi, la situazione è più complessa di quel che
lasciano pensare le foto scioccanti dell’altro giorno». Bernard Guetta
vuole restare lucido. È presto per dire che si sta creando, come alcuni
cominciano a pensare, una nuova cortina di ferro tra l’Europa
occidentale e alcune democrazie illiberali a Est. Il commentatore
francese, esperto di geopolitica, conosce bene la Polonia. Ha vissuto
dall’interno la rivoluzione di Solidarnosc. Corrispondente di Le Monde
raccontò quell’epopea di libertà e la rievoca in
Intima convinzione, saggio dove spiega le ragioni del suo ostinato europeismo.
Sorpreso dall’adunata di ultrà della destra nazionalista?
«Non
è una sorpresa. In Polonia esistono da tempo una destra conservatrice e
un’estrema destra. C’erano prima della guerra, sono sopravvissute sotto
il comunismo, e sono tornate alla ribalta con il ritorno alla
democrazia. Non bisogna inoltre dimenticare che una parte
dell’episcopato cattolico è restato in una concezione preconciliare del
cristianesimo, compreso nella dimensione antisemita».
Vedere gruppi razzisti e antisemiti manifestare liberamente è un segnale allarmante?
«Sono
immagini scioccanti ma non cambiano la realtà. La destra nazionalista,
Diritto e Giustizia, ha vinto nel 2015 con una quota intorno al 40%.
Secondo i sondaggi il partito di Jaroslaw Kaczynski è rimasto a quel
livello. Kaczynski non è di estrema destra né antisemita. Ma è vero che
fomentando il nazionalismo apre la porta a discorsi ancora più a destra
».
Perché in Polonia, come in altri Paesi a Est, cresce il rigetto dell’Europa?
«La
maggioranza dei cittadini polacchi non sostiene la retorica di
Kaczynski. L’opposizione però è divisa, invisibile. Detto questo, dietro
la retorica della destra nazionalista non c’è una vera volontà di
uscire dall’Ue. C’è un conflitto culturale con l’Europa occidentale,
accusata di ‘decadenza’ su temi come famiglia, diritti civili. Nella
difesa di un’Europa bianca e cristiana la destra polacca nazionalista,
anti-sovietica e anti-comunista, trova molti punti comuni con Vladimir
Putin. E’ un paradosso sorprendente».
E anche con Donald Trump?
«Il ritorno a una destra nazionalista, xenofoba, puritana, o ipocritamente puritana, sta avvenendo su scala planetaria».
Un ritorno agli anni Trenta, come dicono alcuni?
«Marx
diceva che quando la Storia si ripete, si ripete in farsa. Certo,
esistono dei movimenti di estrema destra, nazionalisti, razzisti e
talvolta antisemiti, ma non hanno preso il potere. Per paradosso Trump
ha vaccinato gli europei dicendo che non c’è più l’ombrello di
protezione americano. Per la difesa dobbiamo ormai organizzarci da soli.
Alla fine, potrebbe essere uno dei padri rifondatori della Ue».
Pensavamo che la spaccatura in Europa fosse soprattutto tra Nord e Sud, e invece il conflitto più forte è tra Est e Ovest?
«Andiamo
verso un’Europa differenziata, nella quale alcuni paesi andranno più
veloce nell’integrazione, e altri invece resteranno nell’attuale
situazione. Polonia, Ungheria e altri a Est non seguiranno il processo
di integrazione rafforzata».
Il gruppo di Visegrad guidato da Polonia e Ungheria può essere un vero contro-potere dentro la Ue?
«Hanno
perso il loro alleato naturale, il Regno Unito. Anche unendo le
economie di questi paesi non avrebbero il peso sufficiente per opporsi
all’asse franco-tedesco. E poi hanno un bisogno vitale della sovvenzioni
europee, della libera circolazione delle merci».
La comparsa del populista Andrej Babiš in Repubblica Ceca può rafforzare il blocco a Est?
«Babis
è un uomo d’affari, non è detto che abbia l’atteggiamento euroscettico
di Kaczynski o Orbán. Non dimentichiamoci che i polacchi disprezzano i
cechi che non rispettano gli ungheresi. Storicamente c’è poca coerenza
in questo blocco, è un’unione artificiale».