domenica 12 novembre 2017

Repubblica 12.13.17
La suora psicologa “Anche i preti soffrono li curo con l’ascolto”
Ho superato il pregiudizio Per loro, che io sia donna non è più un problema
Suor Pina Del Core è preside della Pontificia facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium
Pina Del Core ha un’esperienza di 40 anni: “Solitudine e crisi di vocazione le fragilità più diffuse”
di Andrea Gualtieri

ROMA. Finora, assicura, non è mai dovuta intervenire come Nanni Moretti per soccorrere un Papa appena eletto in preda agli attacchi di panico. In oltre 40 anni, però, suor Pina Del Core si è trovata a seguire preti sull’orlo di una crisi di nervi, religiosi tentati dal peccato o soltanto depressi, novizi in crisi vocazionale e prelati con bramosia di potere.
Psicologa, preside della Pontificia facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium di Roma, è considerata una delle massime esperte nella cura delle forme di disagio che possono affliggere sacerdoti e consacrati. Nei giorni scorsi è stata invitata a parlare di prevenzione davanti al Cism, la conferenza dei più importanti ordini religiosi italiani. Era l’unica donna. «Mi capita spesso, anche quando vado nei conventi — racconta — . All’inizio si percepiva resistenza, si chiedevano cosa mai potesse capire dei loro problemi quella che chiamavano “una suorina”. Ma ormai ho superato i pregiudizi e mi dicono di sentirsi rasserenati nel confrontarsi con una sensibilità femminile su temi così delicati».
Ai superiori, preoccupati per il dilagare di scandali sessuali ed economici e per l’impennata di abbandoni tra i loro confratelli, la suora psicologa ha parlato con chiarezza: «Quello che vi dirò può provocare imbarazzo. Ma ci sono sofferenze che si manifestano abbastanza chiaramente e sarebbe doveroso che interveniste provocando un confronto schietto. Spesso, invece, i tentativi di soluzione che vengono messi in atto non hanno fatto altro che dilazionare la vera soluzione del problema». È uno dei temi per i quali la Chiesa finisce spesso sotto accusa quando emergono scandali di natura sessuale o economica.
Suor Pina, ritiene ci sia una tendenza a coprire o sottovalutare i rischi del disagio psicologico di preti e religiosi?
«In questa fase si sta acquisendo una consapevolezza nuova. Il fatto che il Cism abbia dedicato la propria assemblea annuale a questo tema è un segno positivo: i religiosi stanno maturando l’idea che per capire e accompagnare le situazioni di disagio è necessario possedere una specifica preparazione».
Quali sono le debolezze che incontra più spesso?
«Ci sono fragilità individuali ma anche malesseri che si trascinano nel tempo: la solitudine, l’inserimento in ambienti pastorali difficili, anche la consapevolezza della crisi di vocazioni che in alcuni sembra destinata a bloccare ogni sforzo missionario. Tutto questo può creare spaesamento».
È sufficiente per scatenare pulsioni che poi diventano incontrollabili?
«In alcuni casi subentrano tipologie di depressione più o meno gravi che spesso si trascinano nel tempo, forme di innamoramento che non si possono più tenere nascoste; incapacità di gestire le risorse emotive che si possono manifestare nei confronti dei minori; dipendenze da alcol, erotismo, iperattività, Internet. Possono esserci spaccature interiori non più tollerabili, un senso di profonda confusione o di conflitto».
A chi spetta vigilare su un frate o un parroco?
«L’esperienza dice che si dovrebbe partire in origine: nel percorso vocazionale serve una psicodiagnosi che aiuti a fare emergere il vissuto per valutare eventuali traumi sui quali avviare un percorso. Alcuni istituti lo hanno fatto a tappeto, altri solo in casi particolari. In alcuni seminari sono iniziative marginali. E comunque non basta: formazione e accompagnamento devono continuare durante tutta la vita religiosa».
Anche abati e vescovi, però, sono finiti al centro di scandali: cosa succede quando sono i superiori a perdere il controllo di se stessi?
«È una situazione molto più delicata. In questi casi dovrebbe intervenire chi sta ancora più in alto ma a volte non c’è un legame così stretto che permetta di cogliere i segnali di disagio. E allora deve essere la comunità a farsi corresponsabile segnalando il caso».