Repubblica 12.13.17
La suora psicologa “Anche i preti soffrono li curo con l’ascolto”
Ho superato il pregiudizio Per loro, che io sia donna non è più un problema
Suor Pina Del Core è preside della Pontificia facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium
Pina Del Core ha un’esperienza di 40 anni: “Solitudine e crisi di vocazione le fragilità più diffuse”
di Andrea Gualtieri
ROMA.
Finora, assicura, non è mai dovuta intervenire come Nanni Moretti per
soccorrere un Papa appena eletto in preda agli attacchi di panico. In
oltre 40 anni, però, suor Pina Del Core si è trovata a seguire preti
sull’orlo di una crisi di nervi, religiosi tentati dal peccato o
soltanto depressi, novizi in crisi vocazionale e prelati con bramosia di
potere.
Psicologa, preside della Pontificia facoltà di Scienze
dell’educazione Auxilium di Roma, è considerata una delle massime
esperte nella cura delle forme di disagio che possono affliggere
sacerdoti e consacrati. Nei giorni scorsi è stata invitata a parlare di
prevenzione davanti al Cism, la conferenza dei più importanti ordini
religiosi italiani. Era l’unica donna. «Mi capita spesso, anche quando
vado nei conventi — racconta — . All’inizio si percepiva resistenza, si
chiedevano cosa mai potesse capire dei loro problemi quella che
chiamavano “una suorina”. Ma ormai ho superato i pregiudizi e mi dicono
di sentirsi rasserenati nel confrontarsi con una sensibilità femminile
su temi così delicati».
Ai superiori, preoccupati per il dilagare
di scandali sessuali ed economici e per l’impennata di abbandoni tra i
loro confratelli, la suora psicologa ha parlato con chiarezza: «Quello
che vi dirò può provocare imbarazzo. Ma ci sono sofferenze che si
manifestano abbastanza chiaramente e sarebbe doveroso che interveniste
provocando un confronto schietto. Spesso, invece, i tentativi di
soluzione che vengono messi in atto non hanno fatto altro che
dilazionare la vera soluzione del problema». È uno dei temi per i quali
la Chiesa finisce spesso sotto accusa quando emergono scandali di natura
sessuale o economica.
Suor Pina, ritiene ci sia una tendenza a coprire o sottovalutare i rischi del disagio psicologico di preti e religiosi?
«In
questa fase si sta acquisendo una consapevolezza nuova. Il fatto che il
Cism abbia dedicato la propria assemblea annuale a questo tema è un
segno positivo: i religiosi stanno maturando l’idea che per capire e
accompagnare le situazioni di disagio è necessario possedere una
specifica preparazione».
Quali sono le debolezze che incontra più spesso?
«Ci
sono fragilità individuali ma anche malesseri che si trascinano nel
tempo: la solitudine, l’inserimento in ambienti pastorali difficili,
anche la consapevolezza della crisi di vocazioni che in alcuni sembra
destinata a bloccare ogni sforzo missionario. Tutto questo può creare
spaesamento».
È sufficiente per scatenare pulsioni che poi diventano incontrollabili?
«In
alcuni casi subentrano tipologie di depressione più o meno gravi che
spesso si trascinano nel tempo, forme di innamoramento che non si
possono più tenere nascoste; incapacità di gestire le risorse emotive
che si possono manifestare nei confronti dei minori; dipendenze da
alcol, erotismo, iperattività, Internet. Possono esserci spaccature
interiori non più tollerabili, un senso di profonda confusione o di
conflitto».
A chi spetta vigilare su un frate o un parroco?
«L’esperienza
dice che si dovrebbe partire in origine: nel percorso vocazionale serve
una psicodiagnosi che aiuti a fare emergere il vissuto per valutare
eventuali traumi sui quali avviare un percorso. Alcuni istituti lo hanno
fatto a tappeto, altri solo in casi particolari. In alcuni seminari
sono iniziative marginali. E comunque non basta: formazione e
accompagnamento devono continuare durante tutta la vita religiosa».
Anche
abati e vescovi, però, sono finiti al centro di scandali: cosa succede
quando sono i superiori a perdere il controllo di se stessi?
«È
una situazione molto più delicata. In questi casi dovrebbe intervenire
chi sta ancora più in alto ma a volte non c’è un legame così stretto che
permetta di cogliere i segnali di disagio. E allora deve essere la
comunità a farsi corresponsabile segnalando il caso».