Repubblica 10.11.17
Da Ovidio a Stendhal e fino ai nostri
giorni, riflessioni sull’emozione più misteriosa che ci sia. Tra
letteratura e teorie del comportamento
Per un istante o per sempre il doppio gioco della felicità
di Marc Augé
Questo
testo è un estratto da un capitolo di Momenti di felicità ( Raffaello
Cortina, pagg. 114, euro 20) di Marc Augé L’autore inaugurerà BookCity a
Milano il 17 novembre alle 20,30, al teatro Dal Verme: riceverà il
Sigillo della città dal sindaco Giuseppe Sala e dialogherà con Daria
Bignardi
Don Giovanni è l’eroe dell’incontro e dell’istante. Sotto
questo aspetto, egli è il personaggio chiave di un racconto d’avventura
nel quale le peripezie più rocambolesche e le più stupefacenti
coincidenze si susseguono incrociandosi a ritmo serrato fino
all’epilogo, che è in parte racconto del terrore e in parte
fantascienza. Il Dom Juan di Molière potrebbe essere l’eroe di una
storia a fumetti. Riesce a catturare il lettore e lo
spettatore
anche per l’illimitata capacità di incontri sempre nuovi, dalle ragazze
che seduce al fantasma cui lancia la sfida – senza trascurare la scena
del mendicante, in cui, quasi fosse stanco, lui per primo, di mettere
alla prova l’ottusa fiducia dell’interlocutore, gli getta il luigi d’oro
che gli aveva fatto balenare in forma di tentazione, senza più nulla
esigere in contropartita, «per amore dell’umanità». Momento mirabile,
che la dice lunga sul coraggio, o l’incoscienza, di Molière… All’opposto
di Don Giovanni, seduttore infaticabile e impenitente, incontriamo in
Ovidio la coppia che rappresenta al tempo stesso fedeltà e felicità,
Filemone e Bauci, a incarnare la serenità che soltanto il timore della
separazione potrebbe turbare: non tanto la paura della morte, bensì il
terrore di dover sopravvivere all’essere amato. Così, Zeus ricompensò la
coppia frigia che aveva onorato le leggi dell’ospitalità riunendo i
due, al momento della morte, a formare il tronco di un albero doppio,
quercia e tiglio insieme. Va detto che Zeus, durante l’impresa compiuta
sotto sembianze umane, era accompagnato da Hermes, dio degli incroci,
degli scambi, dei commerci e… dei ladri. Viaggiando insieme, sotto le
apparenze di due vagabondi straccioni, mettevano alla prova le qualità
umane di coloro che incontravano e rifiutavano di accoglierli. Lezione
da imparare, che ricorre peraltro in molti racconti d’origine
folklorica: fate attenzione a chi si presenta sotto la copertura della
mendicità! Potrebbe essere un dio! Ma una seconda lezione, molto
sottile, si può trarre dal poema di Ovidio: solamente coloro che si
amano l’un l’altro sanno aprirsi agli altri.
Per quanto tempo? Una
frazione di secondo o un’eternità? Don Giovanni o Filemone? Ogni
momento di felicità legato a un incontro inizia con l’esplosione di
sensazioni, con il risveglio dei sensi, che possono peraltro essere
oggetto di una metodica preparazione. Stendhal dipinge l’incomparabile
felicità del suo eroe, Lucien Leuwen, nel momento in cui percepisce
un’«inclinazione nascente» nei confronti di Madame de Chasteller: per
due volte, i due protagonisti passeggeranno nei giardini del Chasseur
Vert, locanda nei pressi di Nancy, dove li raggiunge l’eco dei corni che
suonano alcuni valzer di Mozart mentre i raggi del sole al tramonto
penetrano nel sottobosco illuminandolo. Lucien avverte che il braccio di
Madame de Chasteller s’appoggia al suo. Al termine della seconda
passeggiata, convincerà il loro piccolo gruppo a farsi servire un punch.
In quel momento eccezionale, tutti i sensi sono esaltati. Leuwen si
unisce alla conversazione degli amici, ma con Madame de Chasteller, che
lo ha nuovamente pregato di porgerle il braccio, non scambiano una sola
parola, appagati nel silenzio che li unisce.
Su un diverso
registro, Rousseau redige il minuzioso computo degli elementi naturali
che contribuiscono alla sua estasi sull’isola che lo ospita, presso la
riva del lago di Bienne. Vero è che Rousseau ricorda e, di lì a qualche
anno, cerca di analizzare la sensazione di felicità da lui provata
sull’isola di Saint-Pierre. Dapprima evoca la bellezza del luogo in
generale, il panorama di cui aveva ammirato la magnificenza da
un’altura, prima di scendere al lago. Abbandonandosi al ritmo regolare
dei flutti, egli si libera poco per volta di tutte le riflessioni che
quella condizione gli ispira, fino a percepire esclusivamente la pura
sensazione di esistere: «Seguendo il flusso e riflusso dell’acqua, il
rumore continuo ma a tratti più forte dell’onda che s’infrangeva, i miei
occhi e le mie orecchie supplivano ai moti interni che la
fantasticheria spegneva e bastavano a farmi sentire con piacere di
esistere, senza preoccuparmi di doverlo pensare». Tuttavia, la fuga
dalla vita sociale, fino ad avvertire la mera sensazione fisica
dell’esistere, è relativa ed è legata anch’essa alla felicità
dell’incontro: dal 1765, Rousseau vive sull’isola di Saint-Pierre in un
ambiente amicale, nell’unico edificio che vi sorge, proprietà
dell’ospe-dale di Berna, in cui risiede il fattore Engel, al quale egli
si accompagna per essere iniziato alla botanica dell’isola. Per essere
felice, Rousseau sente il bisogno di momenti di semplice, franca
amicizia. Per gli eroi di Stendhal, è invece la felicità amorosa, quando
c’è, a far sì che lo sguardo si posi su quanti li circondano:
acquietato, benevolo e, se è il caso, indulgente. Sempre, la sensazione
di felicità si traduce comunque in sensazione fisica: il benessere
percepito da Jean-Jacques o dagli eroi di Stendhal è legato all’armonia,
che essi avvertono in quell’istante, tra la pace interiore e ciò da cui
sono circondati – armonia fragile per definizione, effimera, eppure già
consegnata al ricordo.
Sappiamo che Stendhal, nonostante le
critiche che muove a Rousseau, nutriva per lui una così grande
ammirazione da indurlo talvolta a confondere le due identità. Poco
importa: molte differenze esistono tra Rousseau – più vicino alla
saggezza stoica e che, pur condannato a una vita instabile ed errabonda,
non smette mai di agognare la quiete dello spirito in un gradevole
rifugio – e gli eroi di Stendhal, sempre pronti a partire, attratti
dall’avventura che li porterà verso gli altri, verso l’amore o la morte.
Vero
è che gli eroi di Stendhal trovano i momenti di felicità amorosa
soltanto quando il tempo si ferma, eppure sono sempre in movimento.
Nulla
a che vedere, peraltro, con la rincorsa all’emozione effimera di Don
Giovanni, che colleziona le donne come, altri, farfalle e per il quale
le seduzioni della conquista cancellano quasi istantaneamente l’emozione
dell’incontro.
La storia della letteratura offre, così, una
riserva illimitata di atteggiamenti possibili nei confronti del tempo e
della felicità. La scrittura crea distanza rispetto all’emozione grezza e
al tempo stesso si sforza di renderla intelligibile agli altri,
divenendo oggetto di ricerca e insieme strumento d’indagine. E talvolta
compie il miracolo: induce l’anonimo lettore a percepire ciò che essa si
è ingegnata ad analizzare e che riesce improvvisamente a rappresentare,
suscitando in lui un moto di allegria e di riconoscenza – nella duplice
accezione del termine – non appena costui scopre e, letteralmente, si
ritrova nell’incontro con una “felicità di scrittura” cui fa
immediatamente eco la sua felicità di lettore.
© 2017 Raffaello Cortina Editore. Traduzione di Maria Gregorio