venerdì 10 novembre 2017

Repubblica 10.11.17
La connection sull’Arno tra uomini di camorra e l’imprenditoria toscana
L’indagine che imbarazza Pier Luigi Boschi vede coinvolti numerosi professionisti in affari con i clan. L’epicentro è Montevarchi dove i soldi del racket sarebbero finiti in una decina di società
Dario Del Porto e Gianluca Di Feo

GLI affari sono affari. E quando si presentano degli oscuri imprenditori con un forte accento campano e con le valigette piene di biglietti da 500 euro, nessuno batte ciglio. Trovano soci e professionisti per realizzare i loro piani, investono e guadagnano. Se però questo accade lungo quel tratto dell’Arno che unisce Arezzo e Firenze, nei paesi che hanno segnato l’ascesa di Matteo Renzi, allora la questione può diventare quantomeno imbarazzante. Così l’ultima istruttoria della procura di Napoli sul clan Mallardo, famiglia camorristica di Giugliano considerata una delle cosche più influenti d’Italia, va a intrecciare direttamente le attività di Pierluigi Boschi e arriva persino lambire l’ingegnere di un’azienda promossa da Tiziano Renzi. Nei loro confronti non c’è nulla di penalmente rilevante, mentre il gip ha ridimensionato il ruolo degli imprenditori toscani indagati per riciclaggio. Gli atti della procura, però, offrono un racconto impressionante di quanto sia facile per gli emissari delle mafie infiltrare il tessuto economico: di fronte ai quattrini, tutti aprono le porte. In silenzio.
L’epicentro di questa inchiesta è Montevarchi, borgo da cartolina quasi a metà strada tra Arezzo e Firenze. Lì secondo i magistrati gli inviati dei boss mettono su una manciata di società e per 10 anni vi riversano i soldi raccolti con la droga e con il racket. Ovviamente si affidano a figure ben note nel paese, che sanno a chi rivolgersi per raggiungere i risultati. La prima creatura si chiama Valdarno Costruzioni. Ha sede presso la società di un prestigioso architetto, che fa la spola tra Montevarchi e Laterina, di cui è stato candidato sindaco in rivalità con la lista di Maria Elena Boschi. La Valdarno è la prima creatura dei Mallardo. Tutte le pratiche e i progetti vengono curati dal principale studio cittadino, lo stesso che disegna i piani urbanistici dei comuni e che realizza sul territorio opere per Gucci e Prada. Non sorprende quindi leggere che il primo rogito viene siglato dal notaio che redige i verbali delle assemblee di Banca Etruria. Che la sede viene ospitata dalla ditta del segretario del Rotary. O che il commercialista di riferimento lavora per numerose istituzioni fiorentine. Relazioni che permettono in fretta di costruire e vendere i primi 14 appartamenti con oltre due milioni di incasso. Non stupiscono, dunque, neppure le parole del pentito Giuliano Pirozzi, quando racconta delle «ottime entrature presso le banche in Toscana » vantate da Antimo Liccardo, considerato l’uomo di fiducia dei Mallardo in Val d’Arno.
Sono due i referenti principali degli investitori venuti dal Sud, indagati per riciclaggio. C’è Mario Nocentini, ben introdotto nel giro della Coldiretti. È lui che nel 2002 trascina Pier Luigi Boschi, il papà di Maria Elena, insieme ad altri coltivatori della zona, tra cui il titolare di uno dei frantoi più famosi, nel piano per l’Orcio: un camping di livello che non verrà mai completato. Tra l’aprile 2005 e l’agosto 2012, Nocentini entra con il 49 per cento nella Edil Europa 2 srl, società immobiliare controllata dalla Valdarno che realizza le palazzine ritenute in odor di camorra, ma i denari – scoprono gli inquirenti – non li mette lui: sono i risparmi di tre commercianti di Montevarchi, che preferivano non apparire. Per i pm, guidati dal procuratore Giovanni Melillo e dal suo vice Giuseppe Borrelli, sono comunque «capitali di provenienza opaca». Alla fine, il business vale oltre cinque milioni.
Michele Quaranta invece ha una società che è riuscita a farsi approvare il progetto per tre asili, finanziati con i fondi renziani per l’edilizia scolastica. Tra il 2004 e il 2007, è socio al 30 per cento della filiale toscana dei Mallardo. E poi nel 2014 porta avanti le iniziative della Nikila Invest. Si tratta di una azienda fiorentina nel mirino di diverse procure: si occupa di outlet e residenze di prestigio. Ha relazioni societarie con la Party srl di Tiziano Renzi, che mentre il figlio era a Palazzo Chigi avrebbe partecipato personalmente agli incontri con i sindaci di Sanremo e Fasano per promuovere i cantieri di nuovi centri commerciali. Uno dei tanti intrecci che capitano nelle piazze del Valdarno. Per Nocentini come per Quaranta, il gip ha bocciato la richiesta di sequestro. E adesso tutti sostengono che si trattava di pessimi affari, di averci perso. Già, ma perché nessuno ha mai protestato? Stando ai documenti ufficiali, sembrano vittime perché cedono quote agli emissari del clan senza farsi compensare in modo adeguato. Gli inquirenti però hanno un altro sospetto e ipotizzano che i pagamenti ci siano stati, ma in nero. Citano la conversazione registrata nello studio di un avvocato legato al boss: «Sono stati tacitati in nero, i voti del concordato che abbiamo comprato a nero e tutto il resto… appresso cioè c’è un mondo dietro questo, che lei non sa, non può sapere e non vuole sapere».