lunedì 6 novembre 2017

pagina 99 3.11.2017
Ora Draghi mette in crisi i populisti 
Finanza | Gli aiuti della Bce hanno contribuito ad allargare le disuguaglianze alimentando i movimenti anti-sistema. La riduzione del Qe è l’occasione per una distribuzione più equa 
di L’alieno gentile 


Riconoscere la differenza fra valore e prezzo è un esercizio difficile; se poi si tratta di titoli di Stato, che non hanno un valore d’uso ma solo di scambio, è ancora più facile andare nel pallone. Riconoscere la differenza fra valore e prezzo è sempre un esercizio difficile; quando poi si tratta di titoli di Stato, ovvero di beni immateriali che non hanno un valore d’uso ma solo un valore di scambio, è ancora più facile andare nel pallone. Sui Btp (buoni del tesoro poliennali, ndr), ma vale in generale su tutti i tipi di obbligazioni, abbiamo assistito negli ultimi anni a una dinamica che non ha precedenti nella storia: il supporto garantito dalle banche centrali mondiali ai mercati obbligazionari ha spinto in alto i prezzi, contribuendo ad allargare le disuguaglianze fra chi ha un patrimonio (che così si rivaluta) e chi non ce l’ha (e si“gode”tutti gli effetti della Crisi). È uno dei meccanismi più elementari dell’economia, si tratta dell’effetto rarità: con i piani di Quantitative Easing, tutte le principali banche centrali hanno comprato ogni mese titoli, molti più di quanti ne venissero emessi, riducendo progressivamente le quantità di strumenti disponibili sul mercato. I Btp, ma anche i Bund tedeschi, così come le obbligazioni emesse da imprese, sono diventati strumenti via via più “rari”, con gli investitori pronti ad accaparrarseli anche se a rendimenti ridottissimi. Ora però la Grande Crisi sembra finalmente archiviata e le banche centrali stanno progressivamente riducendo, azzerando o invertendo il processo. C’è chi è più avanti in questa inversione (la Federal Reserve americana), chi la sta intraprendendo (la Banca centrale europea) e chi per ora ancora non è pronto (la Bank of Japan), ma dopo che la Bce ha svelato i suoi piani in merito possiamo tirare le prime somme: da marzo-aprile dell’anno prossimo la mole complessiva di acquisti delle banche centrali tornerà ad essere inferiore alle emissioni che giungeranno sul mercato. In altre parole, i titoli smetteranno di diventare via via più rari, e viceversa saranno progressivamente sempre più abbondanti e disponibili, col risultato che il loro prezzo invece che salire inizierà strutturalmente a scendere (facendo salire i rendimenti). Questa macro-dinamica può essere solo lievemente scalfita da notizie positive come il miglioramento del rating dell’Italia emesso a sorpresa da Standard&Poor’s la scorsa settimana, ma al contrario il progressivo aumento del costo del debito provocato dalla rimozione degli stimoli della Bce appesantirà il bilancio di chi, come l’Italia, ha un monte debiti particolarmente elevato. Il 2018 si presenta quindi come un anno di svolta: le condizioni dei mercati passeranno da accomodanti a ostili proprio in prossimità della scadenza elettorale di rinnovo del Parlamento italiano che, secondo alcuni, è una tappa temuta dai mercati e secondo altri è invece già “blindata” dal Rosatellum. Ogni piano di spesa, ogni promessa elettorale, dovrà giocoforza confrontarsi con una realtà che sarà sempre più complicata, visto il crescente costo del debito, ma che potrebbe contenere un risvolto inatteso: come dicevamo, gli aiuti erogati dalle banche centrali hanno rivalutato gli asset finanziari, contribuendo ad allargare le disuguaglianze, alimentando così il consenso dei movimenti populisti. Accanto al cambio di rotta delle banche centrali dovremmo assistere all’introduzione compensativa di maggiori stimoli fiscali da parte dei governi, possibile perché per un po’ godremo ancora della coda lunga della riduzione dei tassi degli ultimi anni che rendono più sostenibile il debito. Il beneficio di questo genere di stimoli ha molte più possibilità di essere indirizzato alle fasce più deboli e certamente avrà in ogni caso una distribuzione degli effetti più equa. Per sovranisti, indipendentisti, secessionisti e autonomisti questo 2018 potrebbe essere dunque l’ultima chiamata per accaparrarsi il consenso necessario a imporre la propria agenda, prima che la progressiva normalizzazione post-crisi riduca la dimensione del dissenso. Almeno fino alla prossima Grande Crisi.