La Stampa TuttoScienze 1.11.17
“La ricetta per diventare leader, tra cyber e robot”
La Ben Gurion University, “hub” dell’high tech, firma un accordo con l’ateneo di Torino
di Federico Callegaro
«Einstein
diceva che, se la Terza guerra mondiale fosse stata combattuta con armi
atomiche, la Quarta avrebbe visto uomini armati di clave e pietre. Io,
invece, credo che il prossimo conflitto sarà una cyber-guerra».
A
parlare è Zvi HaCohen, rettore della Ben Gurion University di
Beer-Sheva. Il professore è a Torino per siglare con il rettore
Gianmaria Ajani un accordo di collaborazione con l’ateneo piemontese e
le sue parole hanno un peso particolare: l’istituzione che dirige è la
più avanzata di Israele (e tra le prime al mondo) in materia di
cybersecurity. Così all’avanguardia da aver convinto Deutsche Telekom a
chiudere i laboratori di Stanford per trasferire i suoi specialisti in
questa città di 200mila abitanti, nel Negev. «Siamo giovani ma in
espansione - racconta HaCohen -: siamo passati dai 5mila iscritti del
1987 ai 20mila di oggi». Sicurezza informatica, ma non solo. C’è anche
tanto biotech e genetica, oltre all’incubazione di start-up e allo
studio di metodologie agricole d’avanguardia in questa università al
top: ambiti di ricerca che gli israeliani vogliono ora condividere con
l’ateneo torinese, in un percorso di crescita comune.
Minacce
digitali. «Conti correnti azzerati, niente elettricità, le valvole che
regolano il cloro nell’acqua potabile manomesse e tutto questo
attraverso un pc - spiega HaCohen -. Quanto tempo passerebbe, in
condizioni simili, prima che in una città si inneschi una guerra civile?
È questo che cerca di scongiurare la ricerca sulla cybersecurity». E in
Israele hanno preso seriamente la questione: tanto da spingere il
governo a eleggere l’ateneo come «hub» per una disciplina che è
d’interesse nazionale e da progettare il trasferimento di 5mila militari
specializzati, che lavoreranno nel campus.
La protezione delle
attività in rete, però, interessa anche le aziende e Apple ha aperto a
Beer-Sheva un laboratorio. «Anche l’Università di Torino investe nella
ricerca nel campo digitale, dai Big Data all’ambito medico fino ai
contenuti multimediali - spiega Dario Peirone, docente di economia e tra
i promotori dell’accordo tra atenei -. In questo ambito, come in altri,
le competenze delle due università possono risultare complementari».
Scenari
biotech. «Uno dei maggiori problemi legati alla fisioterapia è che,
spesso, si rivela noiosa e viene abbandonata - racconta Limor
Aharonson-Daniel, vice-rettrice della Ben Gurion University -. Per
ovviare al problema abbiamo progettato una serie di robot che facciano
fare attività giocose e ricreative». E accanto alla robotica medica
un’altra eccellenza dell’ateneo è rappresentata dalle ricerche sul Dna.
«Lo studio della genetica offre l’occasione di decifrare i geni
responsabili di determinate mutazioni. Grazie al rapporto instaurato con
le popolazioni locali (alla Ben Gurion University insegna la prima
dottoressa di origine beduina al mondo e l’ex direttore del dipartimento
di computer science è di una famiglia beduina della zona) abbiamo
studiato da vicino diverse malattie, aiutando anche a migliorare la vita
delle “tribù del deserto”».
Start-up e agricoltura
A
Beer-Sheva i finanziamenti privati sono essenziali: ecco perché la
valorizzazione delle start-up incubate lì fornisce un modello di
business, da trasferire anche in Italia. «Con 1400 ingegneri e 1000
brevetti la nostra Università è una realtà dinamica - sottolinea il
rettore -. Ci concentriamo su programmi che, analizzando i social
network, aiutino i soccorritori in caso di terremoti e attentati». Ma
anche l’Università di Torino ha fatto breccia negli israeliani. «Sono
rimasti colpiti dai laboratori di biotecnologie e agraria - racconta
Giacomo Büchi, docente di management e referente dell’accordo per
l’ateneo torinese -. Conoscere strade nuove che aiutino l’agricoltura in
condizioni difficili è un’esigenza vitale».