La Stampa 9.11.17
De Blasio riconquista New York
grazie al voto degli afroamericani
Il sindaco in carica doppia la rivale nonostante il crollo di popolarità
di Simona Siri
La
prima pagina del «New York Post» il giorno dopo l’elezione che regala a
Bill de Blasio il suo secondo mandato come sindaco di New York si apre
così: «Ops, l’abbiamo fatto di nuovo». E poi, sotto: «Siamo incastrati
con Bill». Certo, il «New York Post» non è tra i suoi sostenitori, ma la
sensazione è comune: anche questa volta De Blasio vince quasi suo
malgrado, più per mancanza di avversari che per altro. Nel 2013 il
grande favorito era Anthony Weiner, crollato sotto il peso di uno
scandalo sessuale a pochi giorni dal voto, lasciando così via libera al
suo avversario il cui più grande merito, fino ad allora, era di essere
l’esatto opposto del sindaco uscente Michael Bloomberg: non ricco, di
Brooklyn, sposato con una afroamericana, molto amato dalle minoranze e
dai sindacati. Che De Blasio avrebbe vinto anche questa volta era chiaro
fin da maggio, quando i sondaggi davano la sua popolarità in discesa al
42%, ma senza che all’orizzonte si vedesse un avversario degno di
questo nome. A ottobre, a un mese dalle elezioni, il suo indice di
approvazione era cresciuto: secondo un sondaggio della Quinnipiac
University il 61% degli elettori si era espresso per lui, sebbene solo
per il 57% meritava la rielezione. Vincitore quindi, ma non popolare.
Almeno non quanto dovrebbe esserlo un sindaco che vince con queste
cifre: 73% nel 2013, 66% nel 2017. Lo zoccolo duro della sua vittoria
sta oggi dove stava ieri: nella comunità afroamericana che lo sostiene e
lo ama, nei sindacati che lui difende a spada tratta, nel crimine che è
sceso, nell’economia che va bene, nell’aver mantenuto importanti
promesse elettorali. Prima fra tutte quella che va sotto il nome di
Universal Pre-K 4 ovvero rendere gratuito l’accesso all’asilo ai bambini
di 4 anni, una iniziativa che oggi vuole ripete con i bambini di 3
anni. Nel 2013 questa proposta fu al centro della sua campagna e il
fatto che abbia funzionato così bene - le iscrizioni sono passate dal 19
mila a 53 mila nel settembre del 2014 e a 68 mila l’anno dopo - lo ha
reso un politico credibile.
Le critiche però non mancano. A parte
l’inchiesta federale sulla raccolta fondi che lo ha visto assolto, a una
certa parte di elettorato continua a non piacere il così detto «stile
De Blasio». O la mancanza di esso. Ovvero, il fatto che arrivi sempre
tardi alle riunioni, che abbia iniziato una rivalità non necessaria con
il governatore Andrew Cuomo, che, anche se non lo dice apertamente,
abbia evidenti mire a livello nazionale. L’interrogativo che in molti si
fanno oggi è se De Blasio possa addirittura arrivare a candidarsi
presidente. Alcune sue scelte sembrerebbero indicare di sì: in questo
ultimo anno il suo vero avversario, più che la candidata repubblicana
Nicole Malliotakis che si è fermata al 28%, è stato Donald Trump. Ad
ogni iniziativa impopolare della Casa Bianca che fosse il Muslim ban o
la sospensione del programma per gli immigrati arrivati negli Usa da
bambini, De Blasio è stato tra i primi a opporsi, facendo diventare New
York il simbolo della lotta al trumpismo. E il 2020 non è così lontano.