La Stampa 9.11.17
Trump-Xi, prove di forza dietro l’intesa sul commercio
Il
presidente Usa accolto con tutti gli onori nella città proibita.
Siglati accordi per 9 miliardi Ma la partita si gioca su Nord Corea,
controllo del Mar Cinese ed economia
di Paolo Mastrolilli
Le
immagini dei coniugi Trump e Xi, sorridenti ieri sera nella città
proibita di Pechino, erano esattamente il messaggio che voleva
trasmettere il leader cinese, per sedurre il collega americano con
effetti speciali. Conoscendo la sua vanità, gli aveva promesso una
visita di Stato in taglia plus. Dietro le quinte dell’amicizia pubblica,
però, si gioca in privato una resa dei conti bilaterale, che va oltre
la crisi nordcoreana e riguarda il ruolo globale delle due potenze.
Il
personaggio chiave per capire cosa sta accadendo si chiama Matthew
Pottinger, direttore della Cina al Consiglio per la Sicurezza Nazionale.
Quando faceva il giornalista, Pottinger era stato aggredito dalla
polizia della Repubblica popolare a causa di un’inchiesta fastidiosa.
Dopo l’11 settembre 2001 si era arruolato nei Marines, aveva servito in
Afghanistan e Iraq, ed era finito nel reparto di intelligence militare
comandato da Michael Flynn. Il generale lo aveva portato alla Casa
Bianca, dove Matt è sopravvissuto alla sua cacciata. Gestendo il
portafoglio cinese, si è convinto che la linea dell’ingaggio con Pechino
non ha funzionato. La Repubblica popolare ne ha approfittato,
diventando sempre più arrogante tanto nei commerci, quanto sul piano
militare. Xi vuole dare al mondo la sensazione che stia avvenendo una
inesorabile transizione del potere dagli Usa alla Cina. In questo quadro
la Corea del Nord è solo una pedina, che Pechino usa per complicare la
vita a Washington, anche se dà l’impressione di fare la sua parte
appoggiando le sanzioni all’Onu. Pottinger pensa che sia arrivato il
momento di rispondere, spingendo indietro la Repubblica popolare. A
partire da Pyongyang, che Trump dovrebbe rimettere nella lista dei Paesi
sponsor del terrorismo entro la fine del viaggio asiatico, anche perché
la Casa Bianca ha spiegato ieri che Kim usa le armi nucleari come forma
di ricatto, per allontanare le truppe Usa dalla penisola e riunificarla
sotto il suo potere. Ma Washington non permetterà che ciò accada,
rifiutando quindi la proposta di Pechino di congelare il programma
atomico del Nord, in cambio della fine della presenza militare americana
al Sud. Sul piano strategico, poi, bisogna iniziare a controbattere
l’espansionismo di Xi nel Mar Cinese Meridionale, aumentando i
pattugliamenti anche con i Paesi alleati. Sul piano commerciale è
necessario non solo riequilibrare il deficit di bilancio da 347 miliardi
di dollari, ma anche pretendere la reciprocità, ad esempio sulla
licenza per le compagnie americane di operare nella Repubblica popolare.
Ancora oggi Twitter e Facebook restano inaccessibili; i cinesi possono
comprare i grandi media americani, senza che avvenga l’inverso; e le
istituzioni finanziarie Usa sono tenute al guinzaglio. Poi Washington è
stanca della regola che impone alle sue aziende di cedere la propria
tecnologia a Pechino come condizione per entrare nel Paese, per non
parlare dei furti di proprietà intellettuale già messi sotto inchiesta, e
dei limiti imposti ai visti anche per le visite accademiche. Equità e
reciprocità sono le parole chiave, e se la Cina non è disposta a
concederle, è arrivato il momento di negarle tutti i vantaggi di cui ha
approfittato finora.
I contrasti dunque sono molto più ampi della
crisi nordcoreana, riguardano l’intero ruolo geopolitico della potenza
emergente e di quella in declino, e Pottinger avrebbe convinto Trump che
è venuto il momento di reagire. L’incognita però è lo stesso Trump,
notoriamente ondivago e imprevedibile. Il presidente è arrivato a
Pechino nell’anniversario della sua vittoria elettorale del 2016, ma
indebolito dalle sconfitte subite martedì dai repubblicani in Virginia e
New Jersey. Il collega Xi invece ha appena chiuso in maniera trionfale
il suo congresso, assumendo poteri che non si vedevano dai tempi di Mao.
Il capo della Casa Bianca poi è perseguitato dall’inchiesta del
procuratore indipendente Mueller sulla collusione con Mosca, e questo
non sfugge né al leader cinese, né a Putin, che dovrebbe incontrare in
Vietnam. Dunque il timore di Pottinger, e degli alleati regionali come
il Giappone, è che Trump faccia uno scherzo come quello di Nixon negli
Anni Settanta, ma al ribasso. Pur di rivendicare un qualche successo,
potrebbe accettare il poco che Xi è disposto a dargli in termini di
contratti commerciali e pressione su Kim, deragliando il riequilibrio
nella sfida epocale fra vecchia e nuova potenza.