La Stampa 9.11.17
Così Xi vuole isolare Trump in Oriente
di Gianni Riotta
Il
presidente americano Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping
arrivano al loro secondo summit con umori diversi. Xi appena rieletto
leader della potenza che lo studioso Ian Bremmer, dalla copertina di
Time, considera «vittoriosa» del XXI secolo, con lo «Xi-pensiero»
materia di laurea in 20 università, tra cui la prestigiosa Renmin di
Pechino.
Solo Mao ebbe questo onore, un corso in «Deng-pensiero»
fu offerto solo dopo la morte di Deng Xiaoping. Trump arriva invece con
l‘inchiesta su Russiagate addosso a tre consiglieri, il ministro del
Commercio Ross impigliato in paradisi fiscali, le brusche sconfitte
elettorali di Virginia e New Jersey.
La posta si alza repentina,
entrambi i leader devono portar a casa il risultato, Xi per mostrare di
non aver strafatto accumulando potere e non perdere il buon rapporto con
Washington, Trump per offuscare le cattive notizie e rilanciare la
manifattura americana. Il primo summit, in primavera, andò bene come
feeling, Trump non diede la stura alla polemica sul commercio contro
Pechino, i cinesi - dai tempi di Confucio maestri di diplomazia -
offrirono concessioni minori, importazioni di carne, pagamenti
elettronici, gas naturale, registrando in Cina, giusto durante il
vertice, tre nuovi brand per le aziende della First Daughter Ivanka.
Venne
poi approvata un’ambiziosa agenda dei «100 giorni», che non ha avuto
alcun successo, troppo complesso il business globale che porta a un
deficit commerciale di 347 miliardi di dollari (299 miliardi di euro) a
vantaggio dei cinesi. Alla vigilia della partenza di Trump, Robert
Lighthizer, rappresentante Usa per il Commercio, denuncia «Da 25 anni
negoziamo, se stiamo ai patti dei cinesi presto il deficit commerciale
sarà di 750 miliardi!».
Xi vuol rimandare Trump contento alla Casa
Bianca, Cina e America hanno troppo bisogno l’una dell’altra per
strappare, e quindi ecco che il gruppo di ecommerce cinese JD.com
acquista carne bovina e suina del Montana per 1,2 miliardi di dollari,
grazie ad alcuni divieti cancellati da Xi, la Viroment, trattamento
acque, firma contratti per 800 milioni di dollari e alla fine il
discusso Ross potrà vantare affari per 9 miliardi, alla delegazione
guidata da manager Boeing e DowDuPont.
Ma le speranze parallele,
per Trump summit da Re del negoziato che sa creare lavoro, per Xi summit
da Imperatore del «Sogno cinese» garante della pace mondiale, sono
frustrate dalla perenne agitazione nucleare del dittatore nordcoreano
Kim Jong-un. Trump ha pronunciato in Sud Corea una severa requisitoria
contro le violazioni dei diritti umani del regime di Pyongyang, «toni
mai usati da un presidente, mi son venute le lacrime agli occhi» dice
Jeong Kwang-il, dissidente detenuto in gulag da Kim, ora attivista nel
gruppo «Niente Catene in Nord Corea», e chiede a Xi di pressare sul
vassallo coreano, limitando l’emigrazione di lavoratori e mettendo
sanzioni sul petrolio. Trump lamenta a Xi il silenzio totale di Kim per
non disturbare il Congresso del Partito comunista, ma la diplomazia
cinese resta persuasa che solo un’intesa globale, Cina, Sud Corea, Usa,
Russia, Paesi asiatici e Onu, possa «vedere» il bluff nucleare di Kim.
Trump e i suoi consiglieri dichiarano che «non tollereranno una Corea
nucleare», Kim è persuaso che solo la bomba atomica lo sottrarrà alla
«minaccia Usa» che già suo nonno aveva combattuto lungo il Trentottesimo
Parallelo, i cinesi non vogliono missili Usa al confine ma detestano
l’instabilità. Il secondo summit prenderà dunque ancora tempo, ma il
tempo stringe per Trump, che vuole successi prima dell’incerto voto di
midterm 2018, mentre gioca a favore di Xi, appena rinominato. «L’arte
del negoziato» dei best seller di Trump prevede anche la possibilità di
«ribaltare il tavolo», Confucio e Mencio insegnano a Xi a negoziare
senza mai deadline: vedremo quale strategia avrà più campo.