Corriere 9.11.17
«L’America ha un leader senza una vera dottrina Neanche i generali possono controllarlo»
Il direttore dell’Atlantic, Goldberg: sull’attacco decide lui
di Giuseppe Sarcina
WASHINGTON
Jeffrey Goldberg, 52 anni, è uno degli analisti di politica estera più
sofisticati di Washington. «Ho sempre cercato di comprendere “la
dottrina” dei presidenti americani. Ma con Donald Trump sono in grande
difficoltà». Dall’ottobre del 2016 Goldberg dirige The Atlantic, la
rivista di politica e cultura che ora fa capo a Laurene Powell Jobs, la
vedova di Steve Jobs.
Come si sta muovendo Trump nel viaggio in Asia?
«Vedo
una grande confusione. Faccio fatica a capire quale sia la strategia
del governo. Ci sono i tweet del presidente, poi c’è la linea del
segretario di Stato, Rex Tillerson. Ho impiegato molto tempo per cercare
di capire quale fosse la “dottrina”, la visione del mondo, dei diversi
presidenti. Ma stavolta non riesco a comprenderla: forse mi sfugge
qualcosa o forse semplicemente non esiste».
Nei discorsi e nelle
posizioni di Trump emerge una costante: le pressioni sulla Cina per
«aiutare gli Usa» ad arginare la minaccia nucleare della Corea del Nord…
«Sì,
ma che cosa significa “lavorare” o “non lavorare” con la Cina? Non è
chiaro. E per altro non credo che la Cina decida di fare o non fare
qualcosa solo perché glielo chiede Trump. Certo, bisogna anche essere
corretti con l’attuale presidente. Anche prima che lui arrivasse alla
Casa Bianca in quell’area non è che le cose andassero bene per gli Stati
Uniti».
Lo scontro con la Corea del Nord è inevitabile?
«In
fondo proprio l’imprevedibilità di Trump può spingere gli interlocutori
alla moderazione. Se il regime della Corea del Nord si dovesse
convincere di avere a che fare davvero con un “pazzo”, potrebbe fermare
l’escalation. Ma purtroppo non sono certo nemmeno di questo».
Molti,
negli Stati Uniti come nel mondo, fanno affidamento sui generali. I due
alla Casa Bianca, John Kelly e Herbert Raymond McMaster, e il capo del
Pentagono, James Mattis. Secondo il senatore Bob Corker «stanno evitando
il caos»…
«Sì, vedo che è diffusa la convinzione che i generali
possano controllare o almeno contenere il comportamento del presidente.
Può essere vero, ma fino a un certo punto. Non possiamo dimenticare un
particolare fondamentale: alla fine anche questi militari lavorano per
Trump, sono alle sue dipendenze. Gli Stati Uniti sono una democrazia, ma
nello stesso tempo anche una monarchia assoluta, specie in politica
estera. La decisione ultima di lanciare un attacco, anche con le armi
nucleari, non spetta ai generali, ma al presidente e solo a lui».
Non vede la possibilità di un’evoluzione di metodo e di contenuti?
«Fino
a adesso non c’è stata alcuna evoluzione. In Giappone, in Corea del Sud
il presidente ha letto dei discorsi preparati meticolosamente. Ha anche
funzionato. Ma non significa molto. Mi resta sempre la sensazione che
Trump non conosca bene ciò di cui sta parlando. E non vedo un presidente
impegnato in processo di apprendimento».
Cominciano a
concretizzarsi segnali di disagio tra gli elettori repubblicani. I
candidati conservatori hanno perso le elezioni per la carica di
governatore sia in Virginia che in New Jersey…
«Certo, questa
sconfitta dovrebbe indurre qualche riflessione, anche se la Virginia è
uno Stato da sempre in bilico. Ma con Trump sono saltati tutti gli
schemi. In Virginia ha subito scaricato la responsabilità su Ed
Gillespie, il candidato sconfitto. Penso che Trump continuerà come
prima. Lo dico con umile cautela. Io ero uno di quelli che sostenevano
che non sarebbe mai arrivato alla Casa Bianca. Solo tre anni fa,
chiunque l’avesse detto sarebbe stato preso per matto. Ora mi guardo
bene dallo scrivere il suo necrologio politico solo perché i
repubblicani hanno perso in Virginia o nel New Jersey».