La Stampa 8.11.17
Mdp si compatta su Grasso
“I renziani lo temono”
di Francesca Schianchi
«Il
dibattito sui candidati premier è solo tatticismo. Con il Pd siamo a
una rottura che si risolve andando nel profondo: chiedo al Pd,
rivendicate ancora le cose fatte?». La chiusura di Mdp alla proposta di
coalizione dei dem arriva dalle parole di Pier Luigi Bersani. Un no
all’ipotesi di fare la “gamba di sinistra” di un’alleanza che abbia il
partito di Renzi come perno, anche nell’improbabile ipotesi di un cambio
di cavallo nella corsa alla premiership, a favore di Paolo Gentiloni:
«Ha segato il referendum sui voucher e messo otto fiducie sulle legge
elettorale», lo boccia l’ex ministro. «Se è in grado, il Pd faccia
proposte serie sui temi cruciali, a Genova e in tanti altri posti si è
perso anche da alleati», la sfida lanciata da Bersani ai pontieri come
Dario Franceschini e Andrea Orlando. Parole sottolineate dagli applausi,
ieri alla Direzione di Mdp convocata per presentare il programma che - a
partire dalla richiesta di cancellare il Jobs act - deve riunirli sotto
lo stesso tetto con Sinistra italiana, Possibile, e gli autoconvocati
del Brancaccio di Falcone e Montanari. Una lista di sinistra che aspetta
solo di poter ufficializzare il leader: il presidente del Senato Pietro
Grasso.
«Per il nostro profilo, ci starebbe da Dio», non lascia
dubbi Bersani, così come D’Alema: «La sua presenza sarebbe
fondamentale». Il corteggiamento è serrato e, sono convinti gli ex Pd,
destinato al successo: l’ufficializzazione arriverà in un’Assemblea,
probabilmente il 2 dicembre, una volta che il Senato avrà approvato la
manovra.
«Dobbiamo ridare speranza e forza a un Paese che appare
stanco e deluso», si limita a dichiarare lui. La proposta lo alletta,
incontri e telefonate si susseguono. Il suo stato d’animo è trapelato in
questi giorni, nella risposta piccata del portavoce all’accusa dei
renziani di aver fatto perdere il Pd in Sicilia con la sua mancata
candidatura. «Stanno provando a costruire un avversario - ragiona chi lo
conosce bene - prima imputandogli di voler stoppare la Commissione
banche, quando è prassi che finisca col finire della legislatura, poi
attaccandolo sulla sconfitta siciliana». Di fondo, «nel Pd lo temono». I
rapporti con Renzi sono nulli, nemmeno una telefonata dopo le
dimissioni dal gruppo Pd: e ieri il segretario ha insistito sul punto
che «se si fosse candidato, come gli era stato chiesto, i risultati
sarebbero stati diversi». Anche se, giudica qualcuno anche tra i dem,
attaccarlo non è una scelta lungimirante se si considera che, a capo di
una lista di sinistra, potrebbe essere un interlocutore.