Il Sole 8.11.17
Caos a sinistra, Renzi si blinda nel Pd
Mdp chiude la porta e si compatta su Grasso. Ma i «pontieri» sono al lavoro per ricucire
Dopo il voto in Sicilia. «Il premier? Lo decide il Capo dello Stato dopo il voto»
Il Colle sulle voci di urne a maggio: «Pura fantasia»
di Emilia Patta
Roma
Il passo indietro per riunire il centrosinistra sotto altra
premiership? «Sono mesi che cercano di mettermi da parte, ma non ci
riusciranno nemmeno stavolta». Matteo Renzi tira dritto e non intende
farsi immolare da chi «è contro il Pd» sull’altare dell’unità a
sinistra. E lancia un chiaro messaggio ai suoi, in fibrillazione dopo
l’annunciata sconfitta in Sicilia, anche in relazione al fatto che le
liste elettorali le farà la segreteria: «Da un lato c’è Berlusconi,
dall’altro Grillo: due schieramenti pieni di estremisti e populisti. Noi
siamo nel mezzo. Con la direzione nazionale del 13 inizia la campagna
elettorale. Quello che deve essere chiaro è che io non posso essere il
segretario dei caminetti tra correnti, degli equilibri e dei bilancini:
io sono perché tutti nel Pd si sentano a casa, rispettando il pluralismo
e mettendo i migliori in lista».
Renzi punta dunque a blindarsi
nel partito con la direzione del 13 novembre (nel “parlamentino” del Pd i
renziani hanno la maggioranza assoluta) e si tiene il più lontano
possibile dalla questione della premiership, rilanciata da molti
all’interno del Pd. Da ultimo dal capogruppo del Pd in Senato Luigi
Zanda, che invita Renzi a «decidere di spezzare l’indentificazione
prevista dal nostro statuto tra segretario e candidato premier. Lo ha
fatto un anno fa con Gentiloni e ha funzionato, ha fatto bene al
partito, al Paese e a Renzi stesso». E financo dal capogruppo dei
deputati dem Ettore Rosato, pure molto vicino a Renzi: «Gentiloni è un
nome spendibile. Fermo restando che il candidato premier del Pd è
Renzi». Il ragionamento di molti nel Pd è che, con il nuovo sistema
elettorale che incentiva le coalizioni nei collegi, la scelta del
candidato premier diventa una scelta comune da fare con gli alleati. E
un nome diverso da quello di Renzi sarebbe meno divisivo agli occhi
della “cosa” che si sta costruendo a sinistra del Pd. Anche per questo
qualcuno immagina elezioni a maggio invece che a marzo, proprio per dare
il tempo di costruire una diversa premiership: tutte ipotesi, in ogni
caso, bollate come «pura fantasia» da fonti del Quirinale.
Un
ragionamento, quello sulla premiership degli anti-renziani di ogni
sfumatura, che viene rovesciato da Renzi e dai suoi: proprio perché la
legge elettorale non richiede l’indicazione del candidato premier(il
Rosatellum prevede l’indicazione del capo del partito, non del capo
della coalizione) non esiste un problema legato al candidato premier del
centrosinistra. «Renzi sarà il capofila della lista Pd, legittimato dal
voto delle primarie – detta il senatore Andrea Marcucci, fedelissimo
del segretario –. Il premier si vedrà dopo le elezioni, a seconda dei
numeri che le diverse forze politiche potranno vantare». E Renzi stesso,
partecipando in serata alla trasmissione Di Martedì di Giovanni Floris
su La 7, ribadisce il concetto descrivendo la discussione sulla
premieship come surreale: «Il potenziale premier lo sceglie il
presidente della Repubblica dopo il voto, è così dopo la sconfitta del
referendum costituzionale purtroppo».
Quanto al dialogo con i
bersaniani di Mdp, invocato tra gli altri dal fondatore del Pd Walter
Veltroni(«le persone responsabili della sinistra dovrebbero capire che
sia pur non amandosi devono stare insieme»), la porta al momento resta
chiusa proprio per volontà degli scissionisti, anche se i pontieri del
Pd sono al lavoro in queste ore per tentare di ricucire, da Lorenzo
Guerini e Matteo Richetti a Graziano Delrio. «Lavoriamo per dare una
casa al popolo progressista che non si riconosce più nelle politiche
sbagliate del Pd», dice infatti Roberto Speranza al termine della
direzione del movimento. E Pier Luigi Bersani parla a sua volta di
«rottura profonda» con il Pd renziano. Insomma, Mdp marcia verso una
lista unica a sinistra del Pd, e alternativa al Pd, assieme a Sinistra
italiana di Nicola Fratoianni e a Possibile di Pippo Civati. E guarda a
Pietro Grasso come leader di quest’area.
Come possibile alleato a
sinistra del Pd resta solo Giuliano Pisapia, ma il voto siciliano sembra
aver approfondito il solco con il Pd. Con o senza i bersaniani, per
Renzi comunque la coalizione c’è e ci sarà: «Già oggi siamo in
coalizione, e siamo pronti ad allargare ancora al centro e alla nostra
sinistra». Con ci sta, insomma. E il segretario dem, a un anno dal quel
41% di sì alla riforma, ha ancora quel perimetro in mente: «Possiamo
raggiungere, assieme ai nostri compagni di viaggio, quel 40% raggiunto
sia alle europee che al referendum».