La Stampa 7.11.17
Le 5 regole della creatività in un mondo determinato
Il
 neuroscienziato Beau Lotto spiega come il cervello elabora i segnali in
 arrivo dai sensi in modo da ampliare i nostri orizzonti
di Piero Bianucci
Vediamo
 il mondo a colori ma non ci sono colori nel mondo. Afferriamo 
significati in segni neri sulle pagine di un libro, ma i significati non
 sono in quei segni. Ci fermiamo davanti a un semaforo rosso ma di per 
sé quella luce non è rossa e quel rosso non significa nulla fuori dal 
contesto stradale. Come avviene che le percezioni si trasformino in 
messaggi?
Beau Lotto, neuroscienziato all’University College di 
Londra, risponde a questa domanda con un libro strano: da leggere, 
certo, ma anche da guardare, perché nella grafica, nell’alternarsi di 
caratteri grandi e piccoli, neri e chiari, allineati o messi di traverso
 come in certe poesie futuriste, offre ai lettori piccoli esperimenti 
per far capire come il nostro cervello elabora i segnali in arrivo dai 
sensi, e in particolare dalla vista: Percezioni (Bollati Boringhieri, 
327 pagine, 25 euro, traduzione di Giuliana Olivero) racconta «come il 
cervello costruisce il mondo».
Non è la posizione del filosofo 
empirista George Berkeley (1685-1753), «essere significa essere 
percepito», che, se portata alle estreme conseguenze, nega l’esistenza 
del reale. Lotto sa bene che il reale esiste in sé e non solo nel nostro
 cervello, ma ciò che gli interessa è il meccanismo con cui il cervello 
rappresenta il reale. Questo meccanismo è frutto di milioni di anni di 
evoluzione biologica. Le esperienze di innumerevoli generazioni passate 
hanno inciso nel nostro patrimonio genetico un vasto repertorio di 
interpretazioni percettive che si sono rivelate vantaggiose per la 
sopravvivenza. «Guardiamo – dice Lotto – attraverso milioni di anni di 
storia». Ecco perché solo una piccola parte dei dati sensoriali viene 
elaborata: quella che l’esperienza evolutiva ha ritenuto utile; perché 
il senso della vista lavora per contrasti: la stessa tonalità di grigio 
ci sembrerà chiara su uno sfondo scuro e più scura su uno sfondo chiaro;
 perché reagiamo a uno stimolo prima di esserne consapevoli, come hanno 
dimostrato gli esperimenti di Benjamin Libet mettendo in discussione 
l’esistenza del libero arbitrio. Insomma, nel costruire il senso del 
mondo siamo schiavi dell’evoluzione e il contesto è tutto.
Ma 
allora, se siamo schiavi del passato, come si può essere creativi? La 
soluzione è «cambiare il passato del nostro futuro». Sembra una frase 
delirante. Ma la creatività è una specie di delirio. Per delirare 
occorre recuperare il valore del dubbio: le soluzioni vantaggiose che 
l’evoluzione biologica ha fissato nei meccanismi percettivi per 
assicurarci la sopravvivenza non aiutano ad affrontare l’incertezza; 
affrontarla implica la liberazione dalle certezze cristallizzate, ed è 
appunto ciò che Lotto intende quando afferma che la creatività consiste 
nel «cambiare il passato del nostro futuro». Restare (è inevitabile) nel
 recinto delle conquiste evolutive, ma anche saperne uscire.
La 
sua ricetta dell’atto creativo si articola in cinque punti: 1) 
«celebrare l’incertezza», cioè vederne gli aspetti positivi; 2) aprirsi 
alla possibilità, cioè «incoraggiare la diversità in seno 
all’esperienza»; 3) cooperare per arricchire la diversità delle 
esperienze; 4) non cercare motivazioni esterne, «lasciare che il 
processo della creatività costituisca di per sé una gratificazione; 5) 
agire in modo intenzionale, «impegnarsi con volontà» in vista di un 
obiettivo. Attenzione, però, a non cadere nei tranelli 
dell’utilitarismo. La scienza – la conoscenza – funziona se è gratuita, 
se è un gioco fatto per il piacere di giocare: «la ricompensa sta tutta 
nel processo».
Beau Lotto non lo fa, ma è interessante mettere in 
rapporto il punto di vista sulle nostre percezioni del neuroscienziato 
con il lavoro che stanno facendo i ricercatori nel campo 
dell’intelligenza artificiale oggi applicata in tanti software di uso 
quotidiano, dai motori di ricerca come Google agli algoritmi che fanno 
diagnosi mediche, traducono da una lingua all’altra, scrivono articoli 
di finanza o battono i campioni mondiali di scacchi (e ci vuol poco) ma 
anche di go (dove le combinazioni possibili sono 10 alla 750!). Questa 
intelligenza artificiale (nulla a che vedere con la fantascienza dei 
robot che si ribellano all’uomo) si sta sviluppando grazie ad algoritmi 
che imparano dai propri errori (deep learning). È un ambito in 
formidabile crescita che mima il cervello umano. A cominciare dal 
riconoscimento delle immagini. Mostrandogli un albero, un animale, un 
volto, l’ultimo cellulare Huawei vi dirà il loro nome. L’incrocio di 
neuroscienze e computer science sta svelando il meccanismo ancora 
segreto delle percezioni, e Lotto dovrà scrivere un altro libro.
 
