martedì 7 novembre 2017

Corriere 7.11.17
Strage in chiesa perché odiava la suocera
Texas, il killer ha scritto un messaggio di minacce. Poi è entrato nel tempio battista e ha trucidato 14 bambini
Guido Olimpio

Devin Patrick Kelley ha ucciso 26 persone perché era infuriato con la suocera Michelle Shields. Questo il possibile movente — non definitivo — per la strage nella chiesa battista di Sutherland Springs, in Texas. L’ex aviere ha trucidato 14 bambini, uno di soli 18 mesi, ed alcuni adulti, compresa la madre della donna. Per compiere il massacro che ha decimato la piccola comunità ha imitato altri sparatori di massa: ha indossato un giubbotto antiproiettile e una maschera con il teschio, ha impugnato la copia di un fucile d’assalto, si è portato dietro due pistole, una Glock calibro 9 e una Ruger 22. Voleva essere pronto per un possibile scontro con gli agenti.
L’incursione nella piccola località è iniziato a metà mattinata quando il killer ha lasciato la sua auto nei pressi della chiesa, quindi è sceso aprendo il fuoco, per continuare all’interno dove ha sorpreso i fedeli. Il tiro rapido ha falciato minori, un anziano di 77 anni e una mamma incinta insieme ai suoi tre figlioletti. Dieci feriti restano in gravi condizioni. Una carneficina che la polizia ha potuto rivedere grazie a un video registrato da una telecamera di sicurezza.
Finita la sua «missione» assassina, Kelley è tornato alla sua vettura dove è stato affrontato da un uomo che abita nella vicinanze, Stephen Willeford. Quando ha sentito gli spari ha impugnato il suo fucile ed è riuscito a centrare l’omicida in un punto non coperto dal giubbotto antiproiettile. Pur ferito l’assalitore è riuscito ad avviare l’auto e a scappare. Willeford, insieme ad un’altra persona, ha iniziato l’inseguimento.
Momenti concitati durante i quali l’assassino ha trovato il tempo di telefonare al padre per dirgli che era stato ferito: «Non credo di farcela». La sua fuga si è conclusa abbastanza presto: ha perso il controllo del mezzo e si è schiantato in un canale. A questo punto — secondo la versione ufficiale — si sarebbe tolto la vita. Anche questo uno scenario già visto, come altri aspetti di questa tragedia americana.
Kelley era chiaramente un «disturbato». Arruolatosi nell’Us Air Force nel 2010 era stato congedato con disonore due anni dopo: i superiori lo avevano spedito davanti alla Corte marziale perché accusato di aggressione contro moglie e figlia. Procedimento accompagnato da 12 mesi in stato di fermo.
Inoltre, aveva avuto una denuncia per crudeltà contro gli animali e chi lo ha conosciuto lo ha descritto come una figura con seri problemi mentali, pieno di risentimento verso la suocera e il prossimo. Avrebbero dovuto controllarlo e invece è diventato una bomba a tempo esplosa domenica. Lo stragista ha prima mandato un messaggino di minacce contro Michelle Shields, un avvertimento seguito dall’assalto.
Il passato turbolento non ha ostacolato in apparenza i suoi piani. Le autorità vogliono capire come sia riuscito a costituire il suo piccolo arsenale. Quando è andato a comprare il fucile, nel 2016, ha scritto nel modulo di non avere precedenti e il venditore lo ha preso sulla parola. Nessuno ha eseguito verifiche adeguate. Successivamente è emerso che ha chiesto il permesso di portare armi, ma gli è stato negato e questo nonostante svolgesse un lavoro part time di guardia giurata.
Dettagli che dovrebbero far riflettere e spingere il Congresso e la Casa Bianca a reagire. Invece la reazione è consueta: parole, preghiere e tutto resta come prima.