La Stampa 7.11.17
Quando i fanatici eravamo noi
Nella
sanguinosa storia delle crociate, le vicende di quattro sfortunatissimi
marchesi del Monferrato nel XII secolo tra Gerusalemme e Costantinopoli
di Alessandro Barbero
Quando
cerchiamo di capire quelli che partivano per le crociate, dobbiamo
accettare la contraddizione tra le motivazioni ideali che li animavano e
la violenza e l’avidità del loro comportamento. Per molto tempo i
nostri antenati hanno creduto che fosse giusto uccidere e morire per
strappare ai nemici di Dio i luoghi della Passione; e che non ci fosse
niente di male se chi rischiava il martirio combattendo gli infedeli
trovava la sua ricompensa già su questa terra.
I crociati che nel
1099 conquistano Gerusalemme sono partiti per offrire a Dio le loro
sofferenze. Sono arrivati fin laggiù, e ci sono arrivati a piedi. Hanno
cavalcato nelle strade della città e nell’atrio della moschea con il
sangue che arrivava alle ginocchia dei cavalli, e guardandosi indietro
scoprono di avere occupato un vasto paese, che si estende dalla Turchia
fino all’Egitto. Nemmeno per un attimo pensano di tornare a casa: hanno
conquistato un nuovo regno per la fede di Cristo e rimarranno lì a
governarlo.
Ma scoprono subito che non sarà facile. Nel mondo
musulmano l’invasione degli infedeli provoca un’ondata di indignazione: a
Baghdad come a Damasco la folla scende in piazza invocando il jihad. Il
regno crociato è in pericolo e occorre difenderlo: perciò dall’Europa
debbono partire nuove spedizioni. Molte generazioni di cristiani
vivranno sapendo che lontano, al di là del mare, c’è un paese tenuto dai
nostri e minacciato dal nemico, e che tutti sono moralmente impegnati a
difenderlo. C’è chi lascia dei soldi per testamento; e c’è qualcuno che
parte. Chi non ne può più della sua vita e sogna l’avventura può
lasciare tutto e imbarcarsi, sapendo che laggiù potrà costruirsi una
nuova vita. L’Oltremare, come lo chiamano loro, è il Far West dei nostri
antenati medievali.
Il fascino della Terrasanta
Fra quelli a
cui la vita in Europa comincia a star stretta ci sono anche dei
principi. È l’epoca in cui un nuovo protagonista, il comune cittadino,
si afferma in Italia. Le città crescono, si riempiono di immigrati e di
cantieri, accumulano soldi, si armano, si fanno la guerra, sottomettono
le campagne. E i conti e marchesi che fino allora comandavano il paese,
prestando all’imperatore un omaggio poco più che simbolico, si trovano
sulla difensiva. I vassalli li abbandonano, i contadini scappano per
andare a vivere in città, i castelli non reggono quando una città decide
di attaccarli. È allora che l’orizzonte della Terrasanta rivela tutto
il suo fascino. C’è una famiglia di principi italiani che all’indomani
della sconfitta del Barbarossa a Legnano, quando ormai è chiaro che le
città hanno vinto, gioca tutto il suo futuro sulla capacità di cogliere
le occasioni che balenano in Oriente.
Sono i marchesi di
Monferrato, i quattro biondi figli del marchese Guglielmo il Vecchio e
della sua moglie tedesca. Ognuno di loro aspira a diventare re o
imperatore, e sa che le crociate possono offrirgli l’occasione. Sono
quattro fratelli straordinariamente ambiziosi - e sfortunati. Il
maggiore, Guglielmo detto Lungaspada, sbarca in Terrasanta nel 1177 per
sposare Sibilla, la sorella del re lebbroso, erede al trono di
Gerusalemme. In prospettiva sarà lui il re. Ma si ammala subito, e tre
mesi dopo muore. Il secondo fratello, Ranieri, parte anche lui per
l’Oriente, ma con un’altra meta: la più grande città del mondo
cristiano, Costantinopoli. Anche lì c’è una principessa da sposare,
Maria, figlia del basiléus; non erediterà il trono, perché ha un
fratellino, ma suo marito avrà comunque un ruolo importante nella
reggenza, e chissà cosa potrà accadere in futuro. Poco dopo il
matrimonio il vecchio imperatore muore, scoppia la guerra civile, e
Ranieri combatte dalla parte del cognato; ma la partita è persa, sale al
trono un candidato ostile, e poco dopo, nel 1183, Ranieri e sua moglie
muoiono avvelenati.
Il sultano gentiluomo
Ma intanto è già
arrivato a Costantinopoli il terzo fratello, Corrado; un’ennesima guerra
civile porta al trono un candidato amico, Corrado ne sposa la sorella, e
poi, all’improvviso, lascia tutto e parte per Gerusalemme, perché in
Terrasanta la famiglia è di nuovo in piena avventura. Guglielmo
Lungaspada morendo ha lasciato Sibilla incinta; il bambino che nasce,
Baldovino, sarà re di Gerusalemme, e il nonno Guglielmo accorre a
tutelare i suoi interessi. Ma il bambino muore, Saladino invade il
regno, il vecchio marchese è catturato. Corrado sbarca nell’unico porto
ancora in mano ai cristiani, Tiro, accolto come un salvatore; difende la
città dal Saladino, e quando il sultano minaccia di decapitare il
vecchio padre se la città non si arrende, Corrado dà una di quelle
risposte che poi saranno raccontate con entusiasmo in tutti i mercati
d’Europa: mio padre, dice, ha già vissuto abbastanza a lungo. Il
Saladino, vedendo che con questi fanatici è impossibile discutere,
lascia perdere e siccome è un gentiluomo libera lo stesso il vecchio.
Fatta la pace, nel 1192 Corrado è eletto dai baroni re di Gerusalemme:
ma prima dell’incoronazione è pugnalato per strada da misteriosi
assassini.
Resta un fratello, Bonifacio, e al suo posto molti
sarebbero rimasti a casa; ma nel loro sangue evidentemente c’era
qualcosa che ribolliva. Nel 1202 Bonifacio accetta di comandare la
quarta crociata, quella che anziché andare a Gerusalemme finirà col
conquistare Costantinopoli, sottoponendola al saccheggio più spaventoso
della sua storia. Bonifacio fallirà nella campagna elettorale per essere
nominato dai crociati imperatore d’Oriente, ma strapperà il premio di
consolazione, sarà re di Tessalonica: l’unico dei quattro fratelli che
ha realizzato il sogno di diventare re. È vero che muore presto anche
lui, ucciso in battaglia contro i bulgari; e che suo figlio Guglielmo si
fa rimproverare dai trovatori, perché anziché partire a rivendicare il
suo trono se ne sta tranquillo in Monferrato. Ma visti i precedenti, è
difficile dargli torto.