La Stampa 30.11.17
L’avanguardia che fa politica in casa nostra
di Cesare Martinetti
Non
pensate di liquidare con qualche antico luogo comune l’irruzione dei
naziskin veneti nel centro aiuto agli immigrati di Como. C’è molto di
antico, ma c’è soprattutto molto di nuovo in questa operazione che pur
condotta senza l’uso del manganello ha un inequivocabile marchio
squadrista. È stata però e soprattutto un’opera di comunicazione, nel
senso più contemporaneo del termine: la fabbricazione di un evento che
trasmette un messaggio. Slogan che riproducono i capisaldi tradizionali
dell’estrema destra nazionalista e fascista: patria, popolo, nemici,
stranieri, immigrati, identità. Ma che cavalcano le parole d’ordine
antisistema di oggi diventate il rumore di fondo della politica europea,
l’humus di tutti i populismi, radicali e anche moderati destinato a
colpire i centri nervosi più sensibili, innanzitutto alimentando la
paura per gli stranieri: no all’invasione.
Bisogna guardare con
lucidità le facce di questi quindici ragazzi vestiti come in divisa:
jeans un po’ slavati e bomber nero, capelli cortissimi, qualche cranio
rasato, qualche barba curata.
Espressioni dure, minacciose nella
forza della presenza, silenziosa e ordinata con cui hanno spalleggiato
il portavoce, un giovanotto che ha letto un breve testo, scandito come
un comunicato. Sono facce normali, non mostri o caricature di mostri,
nessuna anticaglia nostalgica, non avevano creste sulla testa, né
borchie sulle spalle.
Bisogna guardarli bene perché sono
l’avanguardia di un movimento che si sta dilatando a galassia, che si
muove e si articola laddove la politica tradizionale è rimasta senza
parole. Sono i missionari di un verbo antico che rispetta una grammatica
scontata ma che riempie i vuoti di risposte e di paure. L’operazione
compiuta martedì sera a Como non può essere stata improvvisata, risponde
a una strategia elaborata in quel Veneto profondo e fecondo
dell’estrema destra italiana, dove sono state progettate e realizzate le
stragi nere della storia dell’Italia repubblicana. Ma esprime anche
domande «nuove», diffuse, politiche. Sarebbe sbagliato guardare
all’azione compiuta a Como come a una semplice rievocazione
squadristica. Meno che mai al lugubre folklore naziskin.
Tutto
questo avviene mentre in modo sempre più palese si manifesta nel resto
d’Europa una rete che ha come epicentro Budapest, l’Ungheria del duce
Orban che sta emergendo sempre più come il leader che ha creato
l’ambiente ideale per l’incubazione di un nuovo paradigma nero. Su «La
Stampa» di oggi trovate il reportage di Andrea Paladino da Ásotthalom,
nome ideale da fantasy gotico, al confine tra Ungheria e Serbia, laddove
passa il «muro» (uno dei tanti del nuovo mondo), barriera di ferro e di
simboli, dove l’Ungheria ha costruito la sua diga contro il fiume di
siriani che due anni fa scappavano dalla guerra. Qui si incrociano i
fili dell’estrema destra italiana con quelle del resto dell’Europa,
soprattutto dell’Est, dove nel giro di pochi anni l’emancipazione
dall’Urss ha alimentato un nazionalismo aggressivo che si esprime in
regimi democratici, ma che teorizzano soluzioni autoritarie, in Polonia,
Cechia, Bulgaria e formalizzate nel gruppo di Visegrad, spina costante
nel cuore dell’Unione europea. Il modello è Putin, leader riconosciuto
delle democrature post comuniste, protettore al tempo stesso di tutti i
valori anti-Ue e del despota siriano Assad. Ma piace molto anche
Erdogan, leader di un Paese come la Turchia altra sentina storica di
lupi grigi e poteri armati.
Da Visegrad a Ostia il passo è meno
lungo di quanto possa sembrare. È nelle periferie degradate che la
debolezza dei regimi democratici ha lasciato praterie da conquistare non
tanto o soltanto con le testate degli scagnozzi mafiosi ai giornalisti,
ma con la disciplina dei giovani militanti di CasaPound e dintorni che
battono i quartieri abbandonati a se stessi. Crolla la partecipazione ai
riti democratici, il welfare non dà risposte, gli stranieri appaiono
una presenza minacciosa. O le nostre democrazie sapranno dare presto
risposte e uscire dalla retorica o i ragazzi del bomber sono destinati a
crescere. Guardateli bene.