La Stampa 29.11.17
La sfida in Africa
ì dell’Unione Europea al rivale cinese
di Stefano Stefanini
Oggi
e domani, Europa e Africa celebrano la partnership col 5° vertice
Ue-Unione africana (Ua) ad Abidjan. Contemporaneamente, una delegazione
economica cinese ad alto livello è in Marocco, che da un paio d’anni
Pechino ha individuato come porta dell’Africa, accoltavi col tappeto
rosso. La gara fra Cina ed Europa si corre (anche) in Africa.
Prima
ai blocchi di partenza, l’Ue sta subendo il sorpasso di Pechino che
opera con una spregiudicata penetrazione di massicci progetti e
investimenti , come la città industriale di 300 mila abitanti che il
gruppo Haite intende costruire ex novo nei pressi di Tangeri, con la
benedizione di re Mohammed VI e del presidente Xi Jinping. Con la stessa
rapidità e risolutezza la Cina si sta insediando da un angolo all’altro
del continente, dal Kenya all’Angola, dalla Nigeria al Congo.
Abidjan
può essere una risposta europea a due condizioni: che sia alleggerito
il ciarpame declaratorio; che seguano, in tempi ragionevoli, iniziative
concrete e tangibili. Non sarà facile. Ue e Ua sanno come soddisfare le
rispettive esigenze politico-burocratiche ma non hanno il controllo
dell’effettivo impatto su economia e investimenti. Pechino opera invece
al contrario. L’onere dei seguiti sarà soprattutto europeo. A fronte di
una penetrazione cinese spesso capillare (basta pensare a Huawei),
occorre che gli africani vedano crescere la presenza europea e ne
avvertano i benefici.
L’Africa è importante per più di un motivo. È
la parte del mondo con il maggior potenziale di crescita e di sviluppo;
può essere il miracolo della prima metà del secolo XXI, come l’Asia lo è
stato negli ultimi 30-40 anni. I partner naturali sono Europa, Cina e,
forse, Brasile, più che Stati Uniti o la psicologicamente lontana
Russia. Il legame con l’Europa è geografico, con il Mediterraneo da
anello di congiunzione (pensiamo ai viaggi di Ulisse), e storico; pur
controverso, il passato coloniale ha lasciato una rete di collegamenti
culturali ed economici. Il rapporto con la Cina è meno diretto (l’Oceano
Indiano è ben largo) ma risponde a una logica d’interdipendenza.
L’Africa è il versante Sud della variante marittima della nuova via
della Seta; Pechino è affamata di materie prime e di energia che il
continente possiede.
La Cina ha bisogno dell’Africa; è ormai una
potenza globale ma la sua sfida è più debole in altre parti del mondo,
come l’America Latina, vuoi perché si misura con altri grandi Paesi
emergenti come Brasile e Messico, vuoi per la concorrenza Usa. Per
motivi diversi, l’Europa ne ha altrettanto (se non più) bisogno. Si
possono ridurre a tre: demografia, stabilità politica e sicurezza.
Con
un tasso di natalità su punte del 40-30 per mille in alcuni dei Paesi
più popolosi, come la Nigeria (poco meno di 200 milioni), si stima che
l’attuale circa miliardo di africani possa raddoppiare in trent’anni.
Rebus sic stantibus non c’è verso che questa crescita non si traduca in
un’ondata migratoria, spinta anche da cambiamenti climatici, Stati
falliti, penetrazione jihadista e rivalità tribali. Per ridurre la
pressione ed evitare focolai di minaccia, l’Europa ha bisogno di
un’Africa prospera e politicamente stabile. Questo il senso di
un’autentica parthership fra i due continenti.
Con un’agenda che
parla di giovani, occupazione, governance, pace e sicurezza, vertice di
Abidjan lo ha ben presente. In questi campi l’Ue è certamente davanti
alla Cina e gli africani lo sanno. L’imperativo categorico rimane però
far crescere l’Africa attraverso commercio e investimenti. Senza
sviluppo economico e sociale, il resto, per quanto importante, rimane
solo parole.
La concorrenza cinese è brutalmente spregiudicata
perché Pechino fa poche domande su democrazia, diritti umani, stato di
diritto o su trasparenza degli affari e corruzione. Per l’Ue sono invece
linee rosse da rispettare. Tenerle ferme è anche nell’interesse
dell’Africa, lo dimostra la gioia nelle strade di Harare dopo la caduta
di Robert Mugabe. I principi vanno tuttavia accompagnati da un radicale
snellimento e alleggerimento delle procedure e da un pragmatismo che
guardi all’impatto sulle condizioni di vita e ai risultati nella
crescita. In Africa l’asticella della trasparenza e della governance non
può essere collocata alla stessa altezza dell’acquis comunitario.
Altrimenti si fa un torto agli africani e un regalo alla Cina.