La Stampa 25.11.17
“I fedeli sono di fronte a una nuova figura:
il pastore condiviso tra più comunità”
Il sociologo Garelli: così si favoriscono il confronto e l’aggregazione
Professor
Franco Garelli, dove scompare la figura tradizionale del parroco guida
unica della chiesa locale, quali cambiamenti avvengono?
«Passare
da un unico responsabile, un unico pastore, figura di riferimento anche
dal punto di vista sociale, a una gestione collegiale di più preti
occupati in più parrocchie, oppure a un unico parroco condiviso con
altre parrocchie, può portare disorientamento nei fedeli, soprattutto i
più anziani. Di sicuro è una novità che interpella la fede, perché la
rende meno comoda. Ma il laicato è chiamato ad abituarsi e anche a
valorizzare queste dinamiche nuove».
E il parroco? Quanto gli si complica la vita?
«I
parroci di più comunità spesso non hanno il coraggio di chiedere di
costituire un’unica realtà parrocchiale, con una chiesa “centrale” e le
altre “satelliti”. Allora fanno “salti mortali” per celebrare messa in
tutto il territorio: questo crea problemi grossi. Diventano preti
pendolari, rischiando di disperdersi, di vivere a spicchi».
Stiamo assistendo a un declino della Chiesa in Italia?
«No.
Queste situazioni possono anche essere un arricchimento, già solo per
il fatto che non ci si abitua troppo al parroco. Ci si può confrontare
con le sensibilità diverse dei vari sacerdoti che ruotano. C’è
sicuramente chi fa fatica ad abbandonare il vecchio modello, ma la
possibilità del confronto tra realtà diverse vicine territorialmente,
spesso della stessa città ma fino a poco tempo prima separate da
steccati campanilistici, può essere stimolante per tutti. Si può
sperimentare la bellezza di avere progetti comuni».
Quindi nessun dramma?
«Chi
vuole la messa sotto casa vive con inquietudine le unità o le comunità
pastorali tra più parrocchie. Ma la religiosità è anche vita comunitaria
aperta, e se c’è dinamismo tra realtà diverse tutto può diventare più
incoraggiante. Se si riesce a creare aggregazione tra le parrocchie
della zona si evita di rendere viziata l’aria della propria comunità a
causa della chiusura, e vivere così momenti – spirituali e di festa –
nuovi e piacevoli».
La gestione delle parrocchie affidata ai laici è una via percorribile?
«Sì.
Bisogna dare loro più spazio soprattutto per i ruoli organizzativi,
amministrativi ed educativi. Il parroco deve imparare a delegare,
mantenendo funzioni più di coordinamento e di garante, focalizzandosi
sull’aspetto spirituale; dovrebbe essere attorniato da laici
responsabili nei vari campi. Senza dimenticare l’associazionismo
ecclesiale, un bacino da cui si può sempre attingere. Ovviamente c’è il
pericolo di una mancanza di sintonia tra laici e parroco, o quello delle
fazioni tra laici, ma sono rischi da correre».
La Chiesa dovrebbe prendere altre iniziative?
«L’invecchiamento
del clero italiano dovrebbe portare a ristrutturazioni a livello delle
diocesi. Per esempio trasferimenti: c’è molto più clero al Sud che al
Nord. Oppure andrebbe sfoltito l’elevato numero di preti impegnati in
apparati amministrativi delle diocesi: accorpandole si eviterebbe la
moltiplicazione degli uffici e così si libererebbero risorse
sacerdotali».
[d. a. j.]