Corriere 25.11.17
L’analisi I flussi migratori
di Federico Fubini
Le
immagini degli sbarchi dalla Libia hanno segnato così a fondo noi
italiani, che un dettaglio rischia di sfuggirci: il 2017 potrebbe
rivelarsi il primo anno nella storia recente nel quale il numero di
stranieri che vivono in Italia inizia a diminuire. Da quasi quattro
decenni l’istituto statistico Istat ha iniziato a registrare la quantità
di immigrati residenti e finora non si è mai visto un calo. Nel 1981 si
contavano fra le Alpi e la Sicilia meno di 100 mila stranieri, alla
fine del 2016 poco più di cinque milioni. Ma quando i dati più recenti
saranno resi noti, sembra quasi inevitabile che emerga la prima
inversione di tendenza.
Essa sarebbe il frutto di dinamiche
diverse: alcune preoccupanti, altre incoraggianti, altre ancora del
tutto naturali. Normale per un Paese meta dell’immigrazione di massa da
tre decenni è per esempio che inizi a crescere rapidamente anche il
gruppo di coloro che decidono di diventare italiani. Queste persone
spariscono dal conto degli stranieri solo per questo motivo: solo fra i
non europei, nel 2016 hanno preso la cittadinanza italiana a pieno
titolo 184 mila persone, quasi il quadruplo rispetto all’inizio del
decennio. Dunque il primo calo del plotone degli stranieri non equivale a
una riduzione di coloro che sono nati all’estero.
Un secondo
fattore relativamente incoraggiante all’origine dell’inversione di
tendenza viene dal canale di Sicilia. Da agosto, i tentativi di sbarco
in Italia sono nettamente diminuiti. Se anche gli arrivi dal mare questo
mese e il prossimo si confermassero pari a quelli di fine 2016,
quest’anno si chiuderebbe con oltre 50 mila arrivi via mare in meno.
Questo crollo potrebbe rivelarsi decisivo, perché dal 2013 il totale dei
residenti stranieri è sempre aumentato di meno di 50 mila all’anno.
Solo un flusso di sbarchi molto sostenuto permetteva che il numero degli
stranieri crescesse un po’: 21 mila in più l’anno scorso, 12 mila nel
2015.
C’è poi un terzo fattore che spiega la storica inversione di
tendenza a cui l’Italia va incontro: gli immigrati ri-emigrano. Sono
arrivati per farsi una vita tempo fa e ora sempre più spesso vanno via
per rifarsene un’altra in un altro Paese. Lo fanno anche dopo aver
conquistato il passaporto italiano, che permette loro di non dover
chiedere permessi per cercare lavoro in Svizzera, Svezia, Norvegia o
Germania. Del mezzo milione di «nuovi italiani» diventati tali fra il
2012 e il 2016, nello stesso periodo 24 mila erano già migrati altrove.
La
fuga dei giovani nati in Italia, a ben vedere, rischia di far
nascondere un po’ il fenomeno — più intenso — della fuga dall’Italia dei
nati all’estero. In realtà però gli immigrati stanno ri-emigrando fuori
dall’Italia a ritmo cinque volte più veloce di quanto facciano i
giovani italiani. Nel 2015, ultimo anno registrato, risulta
ufficialmente trasferito all’estero un italiano ogni 500 circa e uno
straniero ogni cento. Così gli stranieri che hanno gettato la spugna nel
2015 sono stati 44 mila, il triplo rispetto a nove anni prima. Molto
probabilmente però i numeri reali sono maggiori sia per loro che per i
migranti italiani, perché in tanti partono senza cancellare la residenza
di origine.
La ri-emigrazione degli immigrati è un fenomeno, per
certi aspetti, comprensibile. Secondo il centro-studi di Parigi Ocse,
l’Italia divide con la Slovacchia il primato europeo di giovani
stranieri «Neet», che non studiano né lavorano: fra loro uno su tre vive
ai margini della società, una quota anche più alta di quella già da
record dei loro coetanei italiani. L’Italia divide poi con la Grecia il
primato di immigrati occupati in ruoli nettamente inferiori alle loro
qualifiche.
La disaffezione verso l’Italia non è uguale per tutte
le comunità più numerose e insediate storicamente nel nostro Paese. Essa
è molto pronunciata fra i rumeni e fra i polacchi, che stanno andando
via in gran numero (vedi grafico). Sembra invece esserlo di meno fra gli
albanesi, i cinesi, i filippini o gli ucraini.
Di certo l’Italia
ha l’aria di soffrire di una specie di inversione cognitiva: mentre il
ceto politico non fa che dibattere su un’«invasione» dall’estero —
riflesso delle immagini televisive degli sbarchi — si consuma fra gli
stranieri più qualificati e (un tempo) più integrati una sorta di
silenzioso deflusso verso l’estero. Nell’ultimo anno per esempio sono
«spariti» dalle statistiche 55 mila marocchini, solo 35 mila dei quali
avevano preso cittadinanza italiana; gli altri hanno gettato la spugna.
Così
l’Italia si sente talmente presa d’assedio da non cogliere di non
essere più considerata attraente. Fra il 2007 e il 2015 è fra le prima
trenta democrazie avanzate dell’Ocse quella che ha visto il maggiore
crollo di afflussi di migranti (-67%). E in un’Era di cultura
globalizzata, divide con la Grecia anche il primato nel calo di visti
d’ingresso agli studenti dall’estero: dal 2008, si sono quasi dimezzati.