La Stampa 25.11.17
“I preti rimasti faticano il doppio
È necessario l’aiuto dei laici”
Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino: “Chi è impegnato in prima linea si fa carico di un’enorme responsabilità”
di Maria Teresa Martinengo
«I
conti sono presto fatti: abbiamo una media di tre ordinazioni e una
decina di decessi l’anno. Nei miei sette anni a Torino i preti sono
passati da 550 a meno di 480». L’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia,
puntualizza i numeri del suo clero come premessa per un altro numero.
Capace, questo, di riassumere come stia cambiando la Chiesa, la sua
organizzazione. Come la crisi delle vocazioni non possa più essere
ignorata dai fedeli. «In Diocesi - prosegue l’arcivescovo - cento
parrocchie non hanno più il parroco residente. Il parroco vicino ha
accettato di assumere l’incarico anche per la comunità rimasta scoperta.
Io dico che è come un padre con due figli. Ne aveva uno, poi ne è nato
un altro».
Nella Diocesi le parrocchie sono 355, 110 a Torino.
«Nel territorio cittadino abbiamo cercato di limitare a due il carico,
di queste situazioni ne abbiamo una decina. In alcuni casi, invece, si
sono formate comunità di tre-quattro preti che si occupano insieme di
altrettante parrocchie». È fuori città, invece, in zone di montagna come
le Valli di Lanzo, o in Canavese, che la media si alza. In certe
vallate un parroco può avere la cura anche di quattro piccole comunità.
Collaborazione
«Per
il sacerdote - riflette Nosiglia - significa senza dubbio moltiplicare
le responsabilità. Ma il lavoro che tutti stanno facendo, gradualmente,
con molta pazienza e coinvolgimento della gente, è finalizzato a una
collaborazione con i laici sempre più intensa in tutti gli ambiti
pastorali. Per favorire una pastorale giovanile comune, molto importante
perché i giovani si muovono nel quartiere e possono fare molto per
amalgamare». Un altro ambito è la carità. «Se le Caritas e le San
Vincenzo lavorano insieme vedono meglio le povertà del territorio,
possono usare al meglio le risorse», dice l’arcivescovo. «Tutto questo -
prosegue - bisogna farlo anche come Unità Pastorali, che in città
comprendono le 3-4 parrocchie di un quartiere: per dare risposte
omogenee. Sempre con il forte apporto dei laici, che ci sono: diaconi,
ministri dell’eucaristia, educatori. I laici devono rendersi conto di
essere indispensabili. E che tutto si fa in vista della missionarietà
della Chiesa. La singola parrocchia non è in grado di andare verso i
lontani, le periferie esistenziali. Insieme si può essere invece
evangelizzatori efficaci».
Il peso
Questo cammino oggi per i
parroci significa grande fatica. Nosiglia ne è consapevole. «È più
facile - osserva - avere una comunità di ventimila persone piuttosto che
due da diecimila con tutto il peso di doppie questioni amministrative. I
preti sono oberati, le questioni pratiche portano via tempo. Noi
abbiamo attivato un gruppo di esperti: commercialisti, architetti, che
possano supportarli in diversi ambiti. È un discorso che abbiamo fatto
anche a livello di Cei. Sappiamo che i sacerdoti vanno aiutati e
speriamo di arrivarci. Intanto ogni giorno ringrazio i parroci e tanti
altri che lavorano con grande generosità nelle loro parrocchie amando
profondamente i loro fedeli e sostenendo il carico di impegni sempre più
ampio e pressante. Io stesso imparo da loro ad affrontare serenamente
le difficoltà che a volte debbo incontrare nel mio ministero».