La Stampa 24.11.17
Resa dei conti fra magistrati e impresentabili
di Marcello Sorgi
A
meno di tre settimane dalle regionali siciliane che hanno sancito la
vittoria del centrodestra, ha tutta l’aria di una resa dei conti la
serie di manette, domiciliari e avvisi di garanzia che stanno colpendo i
cosiddetti «impresentabili».
Ultimo, ieri, quel Luigi Genovese,
neo-eletto di Forza Italia, accusato di riciclaggio del patrimonio in
parte illecito del padre Francantonio, già deputato Pd, condannato a
undici anni. È come se la magistratura siciliana, sfidata
dall’atteggiamento impunito di questi candidati, che avevano scelto di
scendere in lizza malgrado il carico di attività illegali di cui si
sapevano responsabili, abbia aspettato la chiusura delle urne per far
calare la ghigliottina. E al contempo, per mettere la disgraziata
nascitura amministrazione del «fascista per bene» Musumeci, un uomo che
aveva fatto della sua onorabilità e dell’assoluta verginità giudiziaria
in quasi cinquant’anni di vita politica il suo distintivo, di fronte a
una difficile alternativa: dar vita al governo lasciando che della
risicata maggioranza (36 contro 34) facciano parte anche gli eletti
(molto votati, va detto) che devono regolare conti pesanti con la
giustizia, o rassegnarsi, malgrado la vittoria elettorale, a restare in
minoranza, a dover negoziare volta per volta con chi ci sta, come faceva
Crocetta, l’approvazione dei provvedimenti.
La scelta, insomma, è
tra la padella e la brace. Dove la padella, per il povero Musumeci,
vuol dire presentarsi il prossimo 11 dicembre, giorno fissato per
l’insediamento della nuova Assemblea, guardando negli occhi gli
inquisiti, che hanno reagito in modo chiassoso e volgare alle accuse nei
loro riguardi, senza aver il diritto di dire nulla, dovendogli chiedere
i voti per la fiducia. Immaginiamoci la scena: nella Sala d’Ercole del
Palazzo dei Normanni agghindata come nelle grandi occasioni, seduti in
prima fila, o in seconda o terza, non importa, ci saranno: il suddetto
Luigi Genovese, campione di preferenze a Messina con oltre
diciassettemila voti, che come si diceva deve rispondere di riciclaggio;
l’Udc Cateno De Luca (il nome di battesimo non è una coincidenza del
destino con gli arresti domiciliari da cui è appena stato scarcerato, ma
un segno di devozione alla Madonna della Catena), accusato di
associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale; Riccardo
Savona, Forza Italia, indagato per truffa insieme con la moglie
(avrebbero messo su un traffico di case promesse in vendita a prezzi di
fallimento e in realtà mai acquistate). Il quarto, Edy Tamaio, non
appartiene alla maggioranza, ma potrebbe in futuro essere chiamato a
farne parte, dato che è stato il primo degli eletti a Palermo, con quasi
quattordicimila voti, risultati poi in parte comperati e venduti al
prezzo di venticinque euro l’uno, per il partito personale di
centrosinistra dell’ex ministro Totò Cardinale, collocatosi al centro e
aperto alla collaborazione con Musumeci in casi di necessità.
Naturalmente,
per rispetto della sua storia personale e per com’è fatto, il «fascista
per bene» Musumeci dovrebbe scegliere la brace della rottura con
«impresentabili» e inquisiti, anche al prezzo del restare in minoranza,
piuttosto che la padella della convivenza. La quale, specie se
accompagnata alla solita indifferenza siciliana, o peggio ancora alla
difesa aprioristica degli accusati, trasformerebbe la vittoria del 5
novembre in sconfitta, non solo personale del governatore, ma politica
del centrodestra rinato nelle urne.
Non va dimenticato infatti che
a tallonare i vincitori in Sicilia, con un risultato clamoroso che ha
raddoppiato i voti ottenuti nel 2012 e ha sfiorato la conquista della
Regione, è stato il Movimento 5 stelle. Che pur avendo anch’esso avuto
un candidato con problemi giudiziari, non potrà non avvantaggiarsi,
nelle elezioni politiche della prossima primavera, del volto
compromesso, grazie agli inquisiti, del centrodestra siciliano. Salvini
non a caso ha subito chiesto a Berlusconi un patto sulla pulizia delle
prossime liste nazionali sottoscritto davanti al notaio. Reazione
tempestiva e indiscutibile. Ma forse il leader leghista avrebbe fatto
meglio a riflettere prima di parlare: a quanto si vocifera a Palermo,
infatti, il prossimo «impresentabile» a cadere nelle mani dei magistrati
sarà proprio un eletto delle sue liste.