La Stampa 23.11.13
Don Sturzo, l’economia libera trova il suo “santo” patrono
Domani
si chiude la fase diocesana del processo di beatificazione del
fondatore del Partito popolare che criticò aspramente lo statalismo
di Alberto Mingardi
Difendere
la libertà economica come si difende la libertà politica, perché l’una
non può esistere senza l’altra; fare per la libertà economica anche il
sacrificio dei propri privilegi; non avere paura della libertà, se
questa comporta rischi e obbliga ad assumere responsabilità». Don Luigi
Sturzo divenne senatore a vita nel 1952. Quella nomina era un omaggio di
Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica e in sintonia col fondatore
del Partito popolare. A molti non dispiaceva riporre Sturzo nella
nicchia angusta dei padri della patria. Aveva trascorso il ventennio in
esilio, prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Rientrato in
patria, non si contentò di diventare un monumento. «Dal giorno che, dopo
lunghi anni di attesa, potei baciare in terra italiana, mi sentii
chiamare da amici e da estranei: maestro. Non posso esprimere il
disturbo e il fastidio che mi ha dato questo appellativo inaspettato».
Partecipò
al dibattito pubblico, scrisse, perse la solidarietà politica dei
cattolici per rimanere fedele a se stesso. «Parlo, scrivo, combatto
perché sono un uomo libero e perché ho difeso e difenderò, finché avrò
fiato, la libertà».
Dagli scritti degli Anni Cinquanta, pubblicati
alcuni anni fa per iniziativa di Guido Roberto Vitale in un bel volume
curato da Giovanni Palladino e con prefazione di Massimo Cacciari (Il
pensiero economico), emerge uno Sturzo che aveva capito ciò che i suoi
concittadini vedranno chiaramente soltanto quarant’anni dopo, con
Tangentopoli: che lo statalismo avrebbe diffuso la corruzione. Per
questo egli criticò l’Eni di Enrico Mattei e più in generale l’economia
«a mezzadria pubblico-privata».
Quest’ultima era un equilibrio
precario: la componente statale, previde Sturzo, avrebbe ristretto gli
spazi dell’economia libera e piegato anche le imprese propriamente dette
ai suoi bisogni. In questo modo, «lo Stato di diritto va scomparendo:
abbiamo al suo posto i piccoli e grandi Eni, i piccoli e grandi Iri e il
ministero delle Partecipazioni».
Con lucidità, Sturzo aveva anche
ben compreso come la nazionalizzazione delle banche avrebbe portato
alla «politicizzazione» del credito, peggiorando l’efficienza del
sistema economico. Le aziende avrebbero subito la tentazione di
avvicinarsi al potere per godere di credito facile e, dal momento che la
prossimità alla politica avrebbe assicurato una corsia preferenziale
per realizzare i propri progetti, gli imprenditori si sarebbero
adoperati per intercettare la benevolenza dei politici. Questo
significava la paralisi dello spirito di iniziativa «per fare del
cittadino un funzionario di grandi e piccoli enti, con la sola ambizione
della promozione, del trasferimento, della gratifica». Il danno
principale dello statalismo sarebbe stato «nel campo della formazione
psicologica di un popolo».
Per questo, come ha ricordato Nicola
Antonetti, «Sturzo pensò che il cortocircuito tra partiti e vita sociale
andasse spezzato alla sua origine». Egli promosse un disegno di legge
per evitare che i partiti fossero finanziati da aziende di Stato o da
imprese che allo Stato dovevano una concessione (finanziamenti che «per
la loro origine e per il loro carattere particolare» renderebbero i
partiti «conniventi» con tali interesse). Le cose, com’è noto, sono
andate diversamente.
Domani si chiude la fase diocesana del
processo di beatificazione di don Sturzo. L’importanza del monumento non
è in discussione. In pochi riescono a non ammirare l’uomo che ha
immaginato per i cattolici un impegno politico trasparente, superando il
«non expedit», e poi il nemico della dittatura. Ma la grandezza di
Sturzo sta anche nella sua lucidità. A quasi sessant’anni dalla sua
morte non abbiamo smesso di «enizzare e irizzare» l’economia italiana.
Le sue polemiche serrate contro l’industria siderurgica che strepitava
contro la Ceca, la comunità europea del carbone e dell’acciaio, sembrano
fatte apposta per i discorsi di oggi, quando l’aggettivo «strategico»
viene distribuito dalla politica con grande generosità a questo o quel
settore imprenditoriale.
Va da sé che nel processo di
beatificazione conta ben altro che il pensiero politico. Tuttavia la
libertà economica può forse trovare, finalmente, il suo Santo Patrono.
Dio solo sa, è il caso di dire, quanto ne abbia bisogno.