giovedì 23 novembre 2017

Corriere 23.11.17
Il penitente
Accuse e gogna giudiziaria per lo psichiatra Barbareschi
di Franco Cordelli

Di che parla Il penitente di David Mamet che Luca Barbareschi ci propone all’Eliseo di Roma con la sua regia? Cito Barbareschi: «Descrive l’inquietante panorama di una società così alterata nei propri equilibri che l’integrità del singolo, anziché guidare le sue fulgide azioni costituendo motivo di orgoglio, diviene l’aberrazione che devasta la sua vita e quella di chi gli vive accanto. La storia è quella di un medico che subisce una gogna mediatica e giudiziaria a seguito dell’atto omicida di un suo giovane paziente». Ci sono qui tre parole importanti: l’aggettivo fulgide, il sostantivo aberrazione e il sintagma gogna mediatica.
Tutti e tre mettono a fuoco o, al contrario, rischiano di fuorviare l’attenzione dal nodo (o conflitto) della vicenda. Fulgide è troppo: le azioni dello psichiatra Charles sono normali, quelle inerenti alla sua professione: essere fedele al giuramento di Ippocrate, mantenendo il riserbo riguardo ciò che il paziente poi divenuto assassino gli ha detto.
Aberrazione viene da un altro eccesso, quello compiuto dalla stampa nell’aver scritto che Charles dichiarò l’omosessualità un’aberrazione e non già, come davvero disse, un adattamento. Questo eccesso è ciò che produce la gogna mediatica, come la chiama il suo amico e avvocato Robert. Basterebbe una ritrattazione. Anzi, meglio: per sciogliere l’equivoco basterà consegnare al tribunale chiamato a giudicare le azioni del ragazzo assassino gli appunti presi nel colloquio con lui. La gogna mediatica non è che un normale procedimento del nostro mondo: spostare in un angolo il carnefice e mettere al suo posto la vittima (reale o potenziale), tramutare la vittima in un nuovo carnefice.
Torniamo a «fulgide». Sono davvero tali le scelte di Charles nel suo rifiuto di testimoniare per l’innocenza (relativa) o la colpa del ragazzo? Non ha sempre difeso i suoi pazienti? Non si è accorto che ha distrutto la vita sua e della moglie? Ella ora è in ospedale, si era rifugiata tra le braccia di Richard.
A un certo punto Charles dice che il suo nome ha un «valore inestimabile». Questo, pensiamo, è vero in genere. Ma quando alla fine egli parla del suo pentimento non sta ammettendo di aver compiuto un peccato di orgoglio, di aver troppo creduto negli aggettivi, fulgide o inestimabile? Egli è come Antigone, ha il suo stesso problema: il mio credo contro quello dello Stato. Ma Antigone non si pente, è greca; Charles si pente, è ebreo.
Il nocciolo della faccenda è questo. È ciò su cui Mamet e Barbareschi invitano a riflettere. Barbareschi per tutto il tempo ha sul capo la kippah così sottolineando che le azioni di Charles hanno un rapporto se non con una piena fede, almeno con la ricerca di Dio o, come la chiama lui, della saggezza. Si possono non condividere le scelte di Barbareschi come gestore di teatro, difficile discuterlo come interprete. Accanto al regista ci sono Lunetta Savino, Massimo Reale e Duccio Camerini. In scena solo un tavolo e due sedie: è spoglia, come in tutto il teatro (e il teatro-danza) contemporaneo