La Stampa 22.11.17
L’esploratore di esopianeti Michael Gillon:
«Cari ragazzi, una rivoluzione vi aspetta»
di Nicla Panciera
«Ci
sono innumerevoli Soli e innumerevoli terre, tutte ruotanti attorno ai
loro soli, esattamente allo stesso modo dei sette pianeti del nostro
Sistema Solare», scriveva Giordano Bruno nel 1584. Per dare conferma
scientifica a quest’ipotesi visionaria sull’esistenza di pianeti
orbitanti intorno a stelle come il Sole ci sono voluti tre secoli. Ma
sono bastati 20 anni dalla scoperta del primo esopianeta extrasolare, 51
Pegasi b, per arrivare a contarne oltre 3 mila.
«Queste cifre
suggeriscono che quasi tutte le stelle della nostra galassia e, quindi,
dell’intero Universo ospitano un sistema planetario. Nei vari mondi fin
qui osservati è emersa un’inaspettata diversità e ora ne stiamo
studiando le diverse architetture, la loro formazione ed evoluzione», ci
spiega Michael Gillon dell’Università di Liegi in Belgio. Per i suoi
contributi alla fondazione della disciplina che studia gli «altri
mondi», l’esoplanetologia, gli è stato assegnato il Premio Balzan 2017,
riconoscimento di 750 mila franchi svizzeri. È suo il primo nome sul
lavoro pubblicato da «Nature» sulla scoperta di sette pianeti simili
alla Terra intorno alla nana rossa Trappist-1. Cacciatore di pianeti fin
da quando ha deciso di volgere lo sguardo al cielo, il giovane
ricercatore ha già incontrato molti studenti intelligenti e brillanti. A
loro dice di non farsi spaventare dai piccoli ostacoli iniziali, ma di
concentrarsi sulla magia dell’astrofisica: «Imbarcarsi in
quest’avventura non li deluderà, viviamo in un momento entusiasmante in
cui c’è spazio per grandi scoperte. La passione deve, però, essere così
dirompente da sovrastare gli altri bisogni»: parola di un ex militare
che ha trascorso sette anni in fanteria prima di decidere di riprendere
gli studi e di dedicare il suo rigore e la sua tenacia alle battaglie
scientifiche.
È molto riconoscente verso l’amata Wendy e i figli
Amanda e Lucas per il supporto ricevuto e ammette di non rappresentare
la norma: «Dopo il post-dottorato, a Ginevra, sono tornato a Liegi, ma
la maggior parte degli scienziati si sposta per acquisire competenze da
un ateneo all’altro, di continente in continente, e spesso finisce per
stabilirsi molto lontano dal proprio Paese e dai propri cari».
L’astrofisica
- conferma - sta vivendo un momento di grande fermento. Sta per partire
il progetto che Gillon ha nominato come i celebri biscotti belgi,
«Speculoos» e, nel 2019, Esa e Nasa lanceranno il gigantesco telescopio
spaziale «James Webb». Intanto, in Cile, è in via di installazione il
telescopio europeo E-Elt, il più grande mai realizzato finora.
Assistiamo poi ad un moltiplicarsi di missioni per la ricerca di nuovi
mondi: «Tess» della Nasa, al via la prossima primavera, e «Cheops» e
«Plato» che l’Esa lancerà rispettivamente nel 2019 e 2025.
Le
aspettative sono pari agli sforzi messi in campo: «Ci stiamo attrezzando
per esplorare una terra incognita, dove mai abbiamo messo piede e
neppure gettato lo sguardo», assicura il cacciatore di esopianeti e,
muovendo le mani davanti a sé come afferrando una torcia, ribadisce:
«Illuminiamo i territori bui con i nostri telescopi, che ci
restituiranno un sacco di sorprese». Come accadde a Galileo con il suo
cannocchiale: «È difficile dire che cosa otterremo dai vari programmi in
partenza, in pratica tutto è possibile. A guidarci non è solo la teoria
ma l’osservazione. Non puntiamo solo, come un tempo, alla conferma
sperimentale delle ipotesi fisiche. Stiamo spingendo al massimo le
capacità tecnologiche, che costituiscono, di fatto, i limiti delle
nostre conoscenze».
E, infine, la grande questione che affascina
da sempre l’umanità: la vita. «Cercando tracce chimiche di attività
biologica, vogliamo scoprire la prevalenza della vita nello spazio, non
avendo alcuni a priori sulla frequenza di questo evento. Questo ci
aiuterà a capire meglio le nostre origini e a mettere la nostra
esistenza in una prospettiva galattica. Le implicazioni vanno oltre la
scienza e invadono i reami della filosofia. Sono gli aspetti sociali e
culturali a rendere questo interrogativo fondamentale». Quanto ci vorrà?
«Potrebbero bastare uno o due decenni. Il meglio deve ancora venire.
Una rivoluzione scientifica è alle porte». La generazione di giovani
scienziati che dichiarerà l’eppur c’è vita, dall’impatto travolgente
come l”eppur si muove” galileiano, è già nata.