martedì 21 novembre 2017

La Stampa 21.11.17
Violenza sulle donne, leggi inefficaci
L’analisi della commissione parlamentare: denunce sottovalutate e scarsa formazione degli operatori Quasi 3 milioni di vittime da parte di compagni ed ex. Umbria maglia nera per i delitti di genere
di Flavia Amabile

La violenza di genere e il femminicidio sono ancora una realtà in Italia, nonostante leggi, manifestazioni e battaglie condotte a ogni livello. Il documento messo a punto dalla Commissione parlamentare di inchiesta istituita a gennaio denuncia con chiarezza i problemi, i vuoti legislativi, gli ostacoli ancora da superare. Si va dalla formazione dei soggetti che hanno il compito di agire in caso di violenza di genere per evitare che sottovalutino gli episodi denunciati, all’assenza di coordinamento di chi deve prendere provvedimenti, alla necessità di creare a livello investigativo pool antiviolenza sul modello di quelli antimafia nella lotta alla criminalità organizzata.
Sono alcuni dei suggerimenti segnalati dalla Commissione in quello che viene definito un documento «che si propone di fornire un quadro intermedio» del fenomeno ricordando anche i dati portati durante le audizioni da Istat, ministero dell’Interno e forze dell’ordine.
In base ai dati risulta che l’Italia è quel Paese dove calano gli omicidi volontari, del 39% nei sei anni che vanno dal 2011 al 2016. Non calano invece gli omicidi con vittime di sesso femminile; negli ultimi quattro anni restano stabili, circa un quarto degli omicidi complessivamente commessi, spiega la Commissione. E, quindi, come ha sottolineato il comandante dell’Arma dei Carabinieri, il generale Tullio Del Sette, durante la sua audizione, c’è stato «un innalzamento in termini relativi del numero di omicidi con vittime di sesso femminile rispetto al numero degli omicidi degli individui di sesso maschile».
Gli autori delle violenze più gravi - scrive la Commissione nella relazione - «sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner. Due milioni e 800mila donne sono state vittime delle loro violenze». E una su 10 ammette di aver subito violenze prima dei 16 anni. La tendenza resta inalterata nei primi 9 mesi del 2017 quando «si sono registrati, in media, oltre 400 interventi della Polizia e Carabinieri a seguito di segnalazione di episodi di violenza domestica. Su 3.607 casi segnalati, in ben 3.061 gli aggressori erano di sesso maschile (quasi l’85% ndr), con un’età media di 42 anni; per converso le vittime erano di sesso femminile in 2.944 occasioni (l’81% ndr) ed avevano un’età media di 41 anni. In 1.228 occasioni (pari al 34% dei casi) gli aggressori erano di nazionalità straniera. In 2.872 casi (pari a quasi l’80%) il luogo dell’evento era costituito dall’abitazione».
Le regioni dove maggiori sono le violenze di genere denunciate sono Umbria, Calabria e Campania se si tiene in considerazione il rapporto degli omicidi rispetto alle donne residenti.
Femminicidio e violenza di genere, insomma, restano ben radicati. A nulla sono valsi l’introduzione del reato di stalking con una legge del 2009, la legge contro il femminicidio del 2013 e i programmi di formazione e prevenzione annunciati. «Emerge chiaramente un problema di sottovalutazione delle violenze denunciate - avverte Francesca Puglisi, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta -. Chi si occupa di accogliere le denunce e di contrastare il fenomeno deve essere in grado di distinguere la violenza domestica da una qualsiasi lite coniugale. È fondamentale farlo perché diverse sono le azioni da mettere in campo in seguito, soprattutto se ci sono dei minori coinvolti. In questo senso la formazione di chi ha a che fare con le violenze a ogni livello può fare molto. Come commissione, ad esempio, chiederemo che già nella formazione iniziale dei giuristi ci sia un insegnamento sulla violenza di genere. Anche la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli si è già detta d’accordo».
La Commissione, infatti, ha fra i suoi obiettivi non solo l’indagine sul fenomeno ma anche di fornire indicazioni al prossimo parlamento e al governo dei punti deboli del sistema su cui può essere utile intervenire. «Oltre alla formazione - prosegue Francesca Puglisi - occorre proseguire nell’istituzione di protocolli di coordinamento territoriale che permettano ai soggetti di agire insieme in caso di violenze. Purtroppo oggi soltanto 13 prefetture, un decimo del totale, hanno questi protocolli creando complicazioni che potrebbero essere evitate. Esistono buchi normativi da colmare come la durata delle misure cautelari che spesso è insufficiente a garantire la protezione della donna che ha denunciato una violenza. Ed è necessario andare avanti nella specializzazione dei magistrati inquirenti con la creazione di veri e propri pool antiviolenza».